"Giornalisti d'Italia, bruciate il tesserino!" Liberalizzazione fai-da-te

Douglas Grant Mine (February 06, 2012)
Brucia la tua tessera! L'appello di un giornalista americano che vive in Italia. Occorre superare un'anomalia tutta italiana: l'Ordine dei giornalisti

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Tutti portiamo con noi un fardello di contraddizioni. Vediamo un po’: Mi considero tollerante, non razzista. Ma quando fu rubata la mia bici davanti al nostro palazzo, i miei sospetti caddero sulla grande e costantemente rinnovata famiglia Rom che abita qui dietro, nella malridotta casa a schiera accanto alla vecchia ferrovia.  

Nessuno di noi è perfettamente conseguente e coerente. E quasi tutti troviamo la maniera di continuare la nostra camminata attraverso la vita come se le nostre ipocrisie pesassero quasi niente. Riusciamo a tenerle dietro le quinte, fuori dalla vista del pubblico e di noi stessi.
 

Ma i giornalisti d’italia vanno in giro con una grande scimmia – uno scimpanzè, un gorilla – posato sulla spalla che, per quanto si sforzino di ignorarlo, non possano far finta che non ci sia. Si chiama l’ODG – l’Ordine dei Giornalisti.

È un’organizzazione d’origine fascista. I suoi dirigenti, i suoi apologisti, direbbero che ormai non lo è più. Riconoscono che l’Ordine è nato come figlio prediletto dal Duce nel 1928, ma argomentano che fu trasformato con la legge del 1963 che costituì la sua attuale incarnazione. In realtà, è sempre la stessa scimmia. Può darsi che vesta un capello o un gilet diverso, ma la natura della bestia continua ad essere quella egregiamente anti-democratica che aveva quando sorse della mente di quel personaggio di petto gonfiato e mento sporgente. Mussolini, essendo stato lui stesso un propagandista di successo, ben sapeva quanto potere sarebbe potuto derivare da un legame organico fra gli interessi dei mass media e quelli dello Stato.

Io sono Americano. Nato in Ohio, crescuito in New Jersey. E ho fatto il giornalista – reporter, corrispondente, redattore e caporedattore – durante quasi 30 anni prima di trasferirmi, insieme alla mia incantevole moglie marchigiana ed i nostri quattro figli, da Miami alle Marche nel 2006. La nostra idea era dare ai ragazzi, che erano ormai completamente Yankees, l’opportunità di diventare ugualmente europei; di frequentare diversi anni di scuola in Italia e così allargare i loro orizzonti culturali ed intellettuali. Dopo un lustro, quel progetto avanza abbastanza bene.  
 

Ma questa mattina, mentre ascoltavamo Prima Pagina di Radio 3 come è nostra abitudine, il conduttore lamentava, in modo ragionevole e cattedratico, il danno fatto alla società italiana dalle sue molte corporazioni trincerate. Parlava delle associazioni esclusive e protezioniste dei farmacisti, commercialisti, tassisti, agenti immobiliari, e quant’altro – centinaia di gruppi e lobby grandi e piccoli che rendono questo paese tanto anacronistico ed, in un senso, non pienamente libero mentre cerca di entrare, zoppicando, nel ventunesimo secolo. E ho detto a voce alta, dirigendomi alla radio: “Yeah, and what about you? And your corporation?”     Perché l’ODG è particolarmente offensivo fra tutti i tipi di mafie legalizzate in Italia. (Non abbiamo paura del termine. Invoco un detto in inglese: “Se la scarpa ti calza, indossala.”) È specialmente odioso perché schiaffeggia in faccia il concetto della libertà d’espressione – della parola e della stampa – che dovrebbe essere l’ideale tenuto più caro da tutte le donne e uomini che si dedicano a mantenere informati ai concittadini, nella convinzione che la democrazia non può funzionare se quei cittadini non sanno cosa sta succedendo intorno a loro. È per questo che i Founding Fathers Americani – iconoclasti brillanti e radicali chiamati Jefferson, Franklin e Madison – misero nel primissimo emendamento della Costituzione la dichiarazione esplicita che: “Il Congresso non fará nessuna legge che riduca la libertà della parola, nè della stampa.”
 

Qualsiasi legge che determina che solo certe persone, quelle che hanno ottenuto il timbro d’approvazione dello Stato, possono esercitare la professione del giornalista è senza dubbio una riduzione della libertà di stampa. In America (ed altrove), qualsiasi persona può fare il giornalista. I lavoratori del mondo delle notizie provengono di formazioni accademiche variegate. Qualche volta non sono nemmeno laureati. Fanno strada (o sono scartati), non per la loro appartenenza a un club esclusivo, ma d’accordo con il loro merito, i loro talenti ed abilità e perspicacia giudicati dagli editors.  Questi caporedattori e direttori, provati sul campo, sono venuti a personificare il discernimento e la sapienza che si accumulano e si maturano nel corso del tempo, come sucede in tutte le professioni.
 

"L’albo obbligatorio è immorale, perché tende a porre un limite a quel che limiti non ha e non deve avere, alla libera espressione del pensiero", disse Giulio Einaudi, rinomato editore italiano, in 1945. 
 

Effettivamente, nessun’altra democrazia moderna, liberale ed industrializzata ha un Ordine dei Giornalisti simile a quello italiano. I paesi che l’abbiano sono cosiderati autoritari o totalitari.

Rimane chiaro, tuttavia, che giornalisti di tutti i colori politici lavorano e pubblicano in Italia. Non c’è un prova del nove ideologica applicata dal Ordine, come sarebbe il caso in Cuba o Kazakistan. Detto questo, l’Italia è l’unica nazione d’Europa Occidentale giudicato solo “parzialmente libero” nel rispettato World Press Freedom Index fatto annualmente da Freedom House, un ONG pro-democrazia basata in Washington. La mera esistenza del Ordine è considerato uno dei elementi atenuanti. 
 

Gunter Grass e Joseph Ratzinger possono (o potevano) avvalersi della scusa che furono obbligati, mentre erano ancora imberbi, ad appartenere ad organizzazioni fasciste. Può darsi che i giornalisti italiani di oggi siano tentati di citare la obbligatorietà della legge ODG nell’argomentare che non hanno scelta. Ma sarebbe uno spettacolo un po’ penoso vederli cercare di coprirsi con quella foglia di fico.
 

La limitazione della libertà d’espressione è l’aspetto più brutto del ODG. Il fatto che in Italia esista nel codice penale il reato di esercitare il giornalismo senza patente, e che l’Ordine possa fare e a volte faccia la funzione di censore (la cosa ovunque più odiata dai buoni giornalisti) prendono un posto di (dis)onore fra quelle assurdità tipiche italiane che sarebbero comiche se non fossero vere. Che i giornalisti portatori di tessera, soci del club, usufruiscano di sconti sui mutui, biglietti aeri e di treni, alberghi e perfino biglietti di cinema e tariffe di parcheggio fa dell’esistenza di tale organizzazione una cosa cinica nella più generosa delle interpretazioni, ed una vergogna nella più rigorosa.       
         

La pratica fedele del giornalismo è una professione nobile, componente essenziale di una società democratica, di un way of life che fa le nostre vite individuali tanto più libere ed emozionanti e piacevoli delle vite dei nostri antenati che vivevano sotto despoti, o di quelle anime sfigate che abitano oggi in nazioni governate da tiranni. Coloro che esercitano questa professione sono fortunati e privilegiati, ma privilegiati in senso più alto di un volo scontato a Parigi o una settimana sussidiata a Rimini.         
   

Per la natura della loro vocazione, i giornalisti sono chiamati a rispettare un codice etico eccezionalmente esigente. Adesso, in questo momento storico di trasformazione italiana, tutti ed ognuno dei membri dell’ODG hanno davanti a se l’opportunità, rara e sublime, di fare un passo semplice e schietto verso la creazione di una società più libera e più democratica. Una sorta di liberalizzazione Fai da te. Cosa potrebbe essere più allettante?  
 

Questo è il mio suggerimento, che prende la forma di una sfida: Burn your draft card.

Brucia la tua tessera. Incoraggiatevi a vicenda a farlo. Fatelo in modo pubblico e spettacolare. Come fecero centinaia di giovani americani negli anni ’60 e ’70 dopo aver ricevuto da Washington la notifica di esser stati arruolati per andare all’altro lato dal mondo ad ammazzare Vietnamiti. “Rifiuto di prestarmi a questo pasticcio,” dicevano col mettere fiammifero al documento, spesso in scenari di teatro stradale con l’acclamazione dei testimoni.

E quei giovani, con la loro azione, rischiavano la galera o l’esilio, non solo la scomparsa di una pretenziosità.

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