Quella lingua di plastica tutta italiana

Alessandra Grandi (December 08, 2009)
Incontro alla Casa Italiana Zerilli–Marimò con Filippo La Porta, scrittore e critico letterario, autore di “E' un problema tuo”. I modi di dire e tic verbali degli italiani di oggi analizzati con grande ironia

Due amici, dopo mesi che non si vedono, si incontrano per caso:

- Allora?
- Tutto a posto. E tu?
- Non c’è problema.

Cosa si sono detti? Assolutamente nulla. Cosa hanno comunicato? Forse noia e bisogno di controllare gli eventi. Questa è l’essenza della lingua di plastica, che omette le parole e ha smesso di raccontare, e di questo si è parlato martedì 01 dicembre presso la Casa Italiana Zerilli–Marimò insieme a Filippo La Porta, scrittore e critico letterario. Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana  ed Antonio Monda, professore alla NYU, hanno gestito il dibattito con grande abilità. Ad assistere un pubblico variegato di studenti e semplici curiosi, desiderosi di indagare le dinamiche di una lingua lontana e cara.

Filippo La Porta ha presentato il suo ultimo libro “E' un problema tuo”, Gaffi Editore, nel quale analizza in modo ironico, e apparentemente leggero, i modi di dire e tic verbali degli italiani di oggi.
 

Non solo il linguaggio dei giovani, che come in ogni epoca si distacca per anomalie ed eccentricità da quello “dei grandi”, ma quel parlato comune, adottato con superficialità e noncuranza da tutti noi, e come da sua stessa ammissione, anche da Filippo La Porta.
Questo viaggio lo ha fatto per tappe, fermandosi e analizzando 15 modi di dire. Parole che assumiamo facilmente, ma che viste da vicino rivelano tutta la loro pericolosità. Perché se usiamo la critica letteraria come lente per capire la società e la cultura in cui abitiamo, allora inevitabilmente ci dobbiamo domandare dove stia andando la nostra società e di che materia sia fatta la nostra cultura.
 
Ripetere sempre frasi fatte senza senso, ascoltare il vociare continuo e vacuo rimanendone ipnotizzati, ci condurrà all’impoverimento della parola? Alla volgarizzazione del linguaggio? E allora che luogo confortante e accogliente troveranno i contenuti?
Sono queste le domande che hanno spinto Filippo La Porta a rilevare l’andamento della realtà italiana attraverso un reportage linguistico e la materia grezza delle conversazioni.
 
Se ogni periodo storico ha il suo gergo, capace di rivelare l’ideologia della realtà dominante, oggi assistiamo ad un parlare che è riflesso di un’ideologia inafferrabile, evanescente, inconsistente.
Ma il linguaggio non è solamente specchio del suo mondo, è anche principio attivo, poiché condiziona le nostre categorie di pensiero.
 
La lingua è un organismo vivo, impuro, in costante evoluzione, il che rende inutile e inopportuno pretendere da essa staticità e perfezione. Il problema pertanto non è utilizzare i modismi, ma annullarsi in essi. Assistere alla ripetitività senza interrogarsi o partecipare.
Guardando alle tappe del viaggio di La Porta, emerge ad esempio che dietro il classico “Allora?” che ci si dice quando si incontra qualcuno, si nasconde la noia. Abbiamo bisogno di notizie eccitanti, perché dobbiamo attraversare lo stato melmoso della monotonia.
 
Mentre rispondere “tutto a posto” rivela l’incosciente necessità di controllo. Non vogliamo essere sconvolti da eventi incontrollabili, o esserne coinvolti. La realtà deve poter essere verificabile, a portata di mano, sicura e in ordine. Dicendo tutto a posto si sotto intende il bisogno di possedere il controllo o solo di possedere. Non possiamo però possedere tutto, non la vita, e allora ecco come diventa facile cadere nell’irrealtà.
 
“Come dire” è invece il modismo degli intellettuali. Ovvero di coloro che si ritengono in grado di ricorrere ad un’ampia gamma di parole e pensieri. Vogliono dimostrare la loro attività mentale, l’abilità nella ricerca, o forse solo trasferire il loro narcisismo.
 
Andando avanti ecco che arriva l’immancabile “tipo che”. Cosa significa? Vuole dire che ogni esperienza della vita, se non l’intera esistenza, possiamo collocarla in una categoria, dentro una tipologia leggera, che minimizza e sminuisce il senso degli avvenimenti. L’aspirazione alla leggerezza della nostra società comunica che tutto è reversibile, niente è in grado di trasformarci davvero, la leggerezza è la maschera che ci allontana dall’esperienza. Spesso si utilizza l’ironia allo stesso scopo. Spogliata del suo vero potere, l’ironia diventa un alibi, uno strumento maligno per dire le cose peggiori impunemente.
 
Dietro il principio di leggerezza e inafferrabilità prende posto anche il “ci può stare”, la formula dell’autoassoluzione. Un modo, prepotente, per dire che tutto quello che facciamo è giustificabile.
Sullo stesso tracciato si colloca il “in qualche modo” o “ma anche”, forme di manipolazione dei fatti, giustificativi e malleabili.
 
Il dibattito con il pubblico ha orientato l’analisi delle parole sul terreno accidentato del carattere dell’italiano medio. Accidentato perché generalizzare è sempre difficile, e perché spesso in un popolo i pregi finiscono per assomigliare molto ai difetti.
 
Secondo quanto detto, l’italiano tende a nascondersi dietro le parole, anziché rivelarsi attraverso di esse. Si dialoga per occultarsi, non per confrontarsi o conoscersi. È infatti generalmente poco diffusa l’autoanalisi, la ricerca del significato nascosto.
Rispetto agli anglosassoni, ad esempio, pochi italiani tengono quotidianamente un diario. Le parole sono vissute come una minaccia, pertanto si preferisce adagiarsi su parole facili, che scorrono in superficie e non rischiano di portare i propri interlocutori in zone poco battute e vulnerabili.
 
Secondo l’esperienza di chi vive negli Stati Uniti da molti anni, gli americani al contrario sono più predisposti alla comunicazione, meno spaventati dalla fragilità dei propri significati.
 
In conclusione possiamo aggiungere che la lingua di plastica non è semplicemente banale o povera, la lingua dei tic è un miscuglio di banalità e ricercatezze. È l’espressione di una classe media scolarizzata, in grado di maneggiare citazioni e parole ormai in disuso, pretendendo di dare così un tono sofisticato alla conversazione. Intrecciare modismi svuotati di significato ad un linguaggio inusuale, genera lo “snobismo di massa”. Il bisogno di distinguersi attraverso parole insolite (spesso usate impropriamente) induce le persone a trasformare anche la lingua in uno status symbol. La lingua, come la letteratura, diventa un accessorio decorativo, perde il suo valore comunicativo, il suo originario istinto di condivisione.
Filippo La Porta ci suggerisce che la difficoltà nasce un passo indietro, nell’elaborazione del pensiero.
 
Perché la parola ha il dovere di soccorrere il pensiero nel suo viaggio verso l’altro.  
E come disse Nanni Moretti in Palombella Rossa (citazione che apre “E' un problema tuo”): “chi parla male pensa male e vive male. Le parole sono importanti”.
 
 
 

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