L’amore ai tempi del Globale – A qualcuno piace Cyber. Incontro con Tiziana Nenezic

Simona Zecchi (May 14, 2009)
“L’amore ai tempi del Globale – A qualcuno piace Cyber. Benvenuti nell’era del Real Touch” Cooper, Roma, 2009. Incontriamo a Roma e poi 'inseguiamo via email' l'autrice di un libro nato negli USA dove lei risiede e naviga...

Tutto sta nel cominciare.

I primi timidi approcci con l’era dei social networks - da “Adultfriendfinder.org” a “Zoo.org”, divampata definitivamente ormai da circa un anno con il caso ‘Facebook’ e poi con i più europei come BadooBahu - si risolvono in diversi click ormai.   

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Le prime azioni si riducono quindi a tanti inviti che in italiano non ci soffermiamo neanche a capire o a tradurre tanto sono entrati nell’uso e abuso comuni.

A sfogliarcene l’ABC  non è un esperto informatico in tecnicaglie elettroniche, né un professore accademico di sociologia. A parlarcene  è invece una scrittrice italiana che... ce l’ha fatta, come si indovina dal sottotitolo di un suo precedente libro, “Come sopravvivere ai Newyorkesi – Il racconto di una che ce l’ha fatta (forse)” , Cooper, Roma, 2008. Nel suo primo libro Tiziana Nenezic, fa un racconto della propria  vita nella Grande Mela in cui rimane per 15 anni, con un approccio da manuale della sopravvivenza. In “Come Sopravvivere..” l’autrice spiega con una buona dose di ironia e intelligenza, e attraverso la sua esperienza, cosa voglia dire abitare in una città multi-etnica come New York per chi, proveniente da tutt’altra cultura e stile di vita, deve fare conti con i suoi ritmi e le sue contraddizioni.

A distanza di un anno dal primo libro, Tiziana si trova in Italia per la presentazione di un altro libro, “L’amore ai tempi del Globale – A qualcuno piace Cyber. Benvenuti nell’era del Real Touch” Cooper, Roma, 2009. Il libro ha ricevuto recensioni ed accoglienza positive  (Il Venerdì di Repubblica, la rubrica Nova del Sole 24 ore per citare i più importanti), salutando la scrittrice nostrana come esempio di professionalità e intraprendenza ‘esportata’, insieme a una notevole capacità di comunicare usi e costumi diversi tra loro anche a chi ancora non ha mai visitato una città statunitense. Tiziana ha anche un blog, ( blog.tiziananenezic.com ) dove ha creato una piattaforma dialogante tra lei e il suo pubblico fatta di testi video e contenuti, volti alla scoperta in progress della società americana.

La incontro nel cuore di Roma e proseguiamo la chiacchierata via e-mail. Un dialogo stimolante.

Il percorso che ti ha portato alcuni anni fa ad intraprendere un viaggio a senso unico dall'Italia agli Stati Uniti  è stato graduale o diciamo così, tanto perché siamo in tema "sentimentale" d’ immediata decisione? Insomma, un amore a prima vista?

 Amore a prima vista non proprio, magari è stato ed è tuttora un amore “in progress”, il risultato di un viaggio univoco non graduale, ma casuale. A New York nel ’91 ci andai in vacanza senza sospettare minimamente che sarebbe stato un viaggio che mi avrebbe poi scompigliato tutta la vita. In generale, tendo a farmi travolgere dagli eventi, per quanto in maniera controllata, perché è da esperienze così che traggo la maggiore crescita personale. New York mi parve subito molto tosta e ricca di strati da scoprire, più che una Grande Mela, una Grande Cipolla, senz’altro una sfida che mi ha arricchito tanto.

Dopo la prima esperienza come scrittrice ne "Come sopravvivere ai NewYorkesi" hai pensato di occuparti del tema amoroso in senso globale e tecnologico: come è avvenuto il percorso?

Prima di pubblicare “Come Sopravvivere Ai NewYorkesi..” già scrivevo per riviste, sia in inglese che in italiano, ma non pensavo minimamente di voler scrivere saggi,

piuttosto stavo lavorando su un romanzo in inglese, una romantic comedy, che poi ho messo temporaneamente da parte per completare le mie ultime fatiche italiane. Anche lì il percorso è iniziato abbastanza casualmente, devo dire, avendo accettato la proposta da parte della casa editrice Cooper di scrivere un libro sui miei quindici anni a New York. Già dal primo rigo, però, capii che la mia esperienza personale avrebbe dovuto fondersi abbondantemente con quella universale perché un lavoro prettamente autobiografico sarebbe stato di scarso interesse, soprattutto per me stessa. Concetto che ho poi riutilizzato quando mi venne l’idea di scrivere “L’Amore Ai Tempi Del Globale”. Anche questo libro nasce dalla mia esperienza personale, un’esperienza almeno ventennale con rapporti romantici internazionali, interrazziali, interfede, in una parola “globali”. Avevo già aperto il discorso sulla dating scene newyorkese e i suoi singolari rituali nel libro precedente, in un capitolo che ha fatto molto parlare i media, in particolare Maurizio Costanzo, che da lì poi mi invitò ad essere ospite fissa della sua trasmissione. Poi l’esplosione di fenomeni come l’on-line dating, Facebook, i social networks e l’impatto della tecnologia moderna sull’homo amans moderno hanno fatto il resto...

Nel Libro si evince il tuo punto  di vista in merito alla difficoltà e insieme all'accettazione di vivere in un luogo così multi-etnico. E' stato un iter graduale o, in qualche modo, è un'attitudine un modo di essere che ti ha sempre contraddistinta?

Io dico sempre che analogamente al dilemma dell’uovo e la gallina, è difficile per me determinare se è stata New York a “globalizzarmi”, o se invece sono finita a New York proprio perché esternavo già una spiccata tendenza verso uno stile di vita globale. Forse certe aperture verso realtà aliene sono genetiche e si hanno nel sangue, come le piastrine. Ciò spiegherebbe come mai, pur essendo nata e cresciuta in una città

scevra di opportunità interculturali come Taranto (perlomeno negli anni 70-80), anziché immersa nella “delicious diversity” americana osannata da Cory Booker, io sia comunque finita col tuffarmi fuori dalle mie acque territoriali a più riprese.  E’ il vecchio dibattito di nature vs. nurture, che nel mio caso rimane ancora aperto con punti validi da entrambe le parti. Chissà cosa alla fine mi ha davvero spinto ad avvicinarmi a culture di mondi lontani e impararne gli usi, i costumi e i linguaggi? Me lo domando spesso.

Un intellettuale afroamericano dei primi del 900 W.E.B. Du Bois aveva definito il XX secolo come il secolo  definito della ‘linea del colore’. Obama ha definitivamente scardinato questa granitica linea assurgendo a simbolo multi-razziale o la sua vittoria è soltanto simbolica?

A mio parere c’è poco di simbolico nella vittoria di Obama. Temo che i simboli spesso tendano a calcare più sull’immagine che sui contenuti; Obama, invece, è un presidente di cultura e sensibilità assolutamente straordinarie e ideali per l’era globale, a prescindere dal colore della sua pelle, anche se quello ha fatto più notizia di tutto il resto durante la campagna elettorale. Ma se proprio vogliamo soffermarci sull’aspetto esteriore di Obama, quale primo presidente statunitense nero e la portata storica di tale dettaglio, va detto che il suo modello di cross over va ben oltre le linee razziali: suo padre non era nemmeno americano, tanto per cominciare, il suo retaggio etnico e’ ben più misto di semplicemente “nero” o “mulatto”, idem per il background culturale che ricopre una gamma notevole. Ideale per l’era globale, come appunto dicevo, e decisamente figlio dei tempi che corrono.

 Nel capitolo sulle coppie miste fai un paragone tra l'Italia, e in modo specifico Roma, come l'avevi lasciata prima di partire in cui la presenza di nuove etnie e culture era ancora vista come una novità e una stranezza, e l'Italia di oggi alle prese con la grande immigrazione. Cosa manca ancora a Roma in particolare per essere considerata a tutti gli effetti multi-etnica e cosa manca a NY o Miami?
 
“La gente mi ha confuso con un immigrato...” canta il rapper Amir, cittadino italiano di madre italiana e padre egiziano, che tutti i giorni si scontra con equivoci sulla proprio identità, ironicamente proprio nel paese in cui è nato. Non deve essere facile oggi per un italiano “che non sembra italiano” vivere in Italia, coi carabinieri che ti chiedono il permesso di soggiorno e i nazionalisti sfegatati che ti dicono di tornartene nel tuo paese. La storia dell’Italia come punto d’immigrazione è ancora troppo recente, pertanto i cittadini di settima generazione e oltre fanno fatica ad individuare i figli degli extracomunitari nati in Italia come propri connazionali, soprattutto se hanno gli occhi a mandorla, la pelle nera o segni visibili di appartenenza a fedi diverse da quella cristiana. In America invece, soprattutto in città ad alto tasso di diversità come New York e Miami, non guardiamo un nero o un cinese presumendo che non siano cittadini statunitensi, in quanto non corrispondono a un certo standard somatico. Ecco, direi che all’Italia manca ancora la dimestichezza con un patrimonio multi-etnico, e ci vorranno generazioni perchè un certo atteggiamento cambi su larga scala. Mentre a New York e a Miami non manca assolutamente nulla. Multi-etniche lo sono già da molto tempo, ma forse in modo leggermente diverso. Una mia cara amica, newyorkese di nascita e miamiana di adozione, dice che mentre New York è l’essenza pura del multi-etnico, nel senso di fusione culturale, Miami invece è più internazionale, in quanto le varie etnie tendono a mantenere un profilo culturale d’origine piuttosto intatto. Ciò lo si nota soprattutto per la comunità cubana, che ha quasi colonizzato parti della città e si ostina a parlare nella propria lingua di origine con chiunque, persino i non ispanici.


Sempre nello stesso capitolo, in un paragrafo fai riferimento alle lingue, ai linguaggi e a come ogni popolo dia priorità a un tipo di sintassi piuttosto che  a un'altra delineando così una sorta di profilo identitario che poi influisce sia sulla coppia mista in sé, che su un eventuale nucleo famigliare allargato. E' un concetto che va al di là della comunicazione intima tra le persone? Come potrebbe modificarsi in questo modo la struttura di una società che vede allargandosi sempre più al suo interno la propria identità?

 Sicuramente va al di là della comunicazione intima all’interno della coppia; l’influsso di nuovi linguaggi in una data comunità porta sempre una trasformazione, non soltanto lessicale, ma anche sociale. Gli effetti più evidenti sono i calchi e i prestiti linguistici, ma un popolo poliglotta deve per forza di cose applicare una certa apertura mentale verso il continuo divenire della propria identità. L’esempio lampante in questo senso lo attingo proprio dagli Stati Uniti, dove qualsiasi testo destinato al pubblico è espresso come minimo in inglese e in spagnolo, dimostrando quanto la pluralità etnica qui sia accettata rispetto ad altri paesi, tanto che nel 2006 la comunità ispanica ha preso l’iniziativa di tradurre l’inno americano in spagnolo. L’azione è stata molto controversa attirando le critiche di coloro che vi hanno letto un rifiuto della comunità ispanica di integrarsi col resto della popolazione, una popolazione pluralistica e fiera delle proprie rispettive origini, ma che, a detta di alcuni, dovrebbe andare ancor più fiera della propria unità e identità americane. Controversia a parte, il fatto che già se ne discuta e che tale versione dell’inno nazionale sia stata comunque fatta, registrata, venduta e mandata in onda alla radio la dice lunga su come questo paese vede la propria identità variegata. Immaginiamo se qualche immigrato in Italia si permettesse un giorno di tradurre l’inno di Mameli!

 A proposito di  lingue e linguaggi, mi ha particolarmente interessato il modo naturale in cui sia nel primo che nell'ultimo libro, 'innesti' perfettamente alcune espressioni della lingua inglese ed americane nel discorso fluido  e articolato della nostra lingua. Qual è il tuo rapporto con le due lingue sia nella vita che nella scrittura?

Io di lingue ne parlo almeno cinque quasi tutti i giorni, quindi la mia mente e’ abbastanza elastica in questo senso. Con l’inglese e l’italiano, però, ho un rapporto particolare, di assoluto gemellaggio, perché sono entrambe lingue che sento mie, nel cuore e nella mente. Dicono che capisci quando una lingua ti è entrata dentro nel momento in cui ti sorprendi a farci i conti e a sognarci. Confesso che conto quasi sempre in inglese e per quanto riguarda i sogni, i miei sono “made in Babel”.

Nella seconda parte del libro ci si addentra nel mondo cyber (sex & love), mondo che ha trasformato sia il modo di interagire con l'altro sesso per gli scopi più diversi, sia i tempi con cui s’intreccia una relazione, i vari codici che si utilizzano per comunicare; il tutto che spazia a seconda dell'età. Inoltre, alla fine del libro, con la tua solita pungente ironia, metti sull'avviso anche coloro i quali si addentrano in certi eccessi ove si tende ad isolarsi sempre più compensando la mancanza di contatto con l'altro e l'incapacità di instaurare un vero rapporto, con strumenti virtuali e isolanti. A parte la palese e giusta preoccupazione, quale potrebbe essere l'alternativa sempre prendendo spunto dal web?

 A me piace molto la rivoluzione che sta prendendo piede grazie alla rete, perché avere scelte nella vita, che sia per il sesso, per l’amore o qualunque altro aspetto, è sempre una cosa positiva. Però mi disturba quando l’alternativa diventa esclusiva, in senso stretto, invece di essere complementare, come dovrebbe. Ovvero quando ci si abitua talmente tanto ad essere “telepresenti”, chattando, feisbuccando e textando, che si risulta assenti nella realtà off line. L’equilibrio nella vita è tutto: il cybersesso, l’online dating e i social networks della rete dovrebbero essere delle aggiunte, dei modi in più per socializzare, flirtare o trovare l’anima gemella, non sottrarci alla realtà che ci circonda e alla gente che ci sta vicino.

La casa editrice Cooper ha intenzione di distribuire prima on line il libro, tradotto dall’autrice stessa, come lancio negli Stati Uniti, per poi proporlo a case editrici americane.
“Break a Leg Tiziana”!

Intervista rilasciata da Tiziana Nenezic a Rai International

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