Perché non riesco a sbandierare il mio tesserino di giornalista
C’è una guerra nascosta in Italia che nessuno racconta. Non la raccontano i partiti. Non la racconta l’ordine dei giornalisti. Non la raccontano i protagonisti.
E’ la guerra quotidiana di tanti che credono in un’informazione corretta.
E’ una guerra nascosta, ma sempre in trincea. Condotta spesso tra passione e rabbia. A volte con la certezza di perdere.
La combatte il giovane che, dopo aver studiato giornalismo, cerca di entrare in una redazione. Fa lo stagista sperando in un futuro. Viene lasciato andar via presto, anche se bravo. La sua posizione non viene regolarizzata. Davanti a lui: colleghi insediati da tempo, poco motivati e spesso con stipendi esagerati.
La combatte il giornalista, questa volta meno giovane, che vorrebbe svolgere il suo lavoro pagato onestamente, ma che deve cercare strade diverse per vivere. Scrivere? Non hanno nessun valore più oggi le sue parole. Non si contano più. Tutti scrivono articoli in rete. Ci sono tanti bloggers, influencer vari poi…
Dunque, se scrive, il giornalista in questione lo fa spesso gratis. Lo fa per non perdere la passione. Nel frattempo vende la sua competenza a uffici stampa o si occupa di pubbliche relazioni.
La combatte quel redattore quando, una volta entrato in un giornale, si vede negata la possibilità di scrivere la verità. Quella verità che non fa notizia secondo il Gruppo Editoriale. Non porta click. Lui vuole però fare il suo mestiere. Raccontare verità sulla gente. Verità sul mondo imprenditoriale. Verità sulla politica. Verità sui giovani, sul mondo del lavoro. Verità sul giornalismo stesso.
La combatte il giornalista quando non si lascia asservire, quando a denti stretti fa da contraltare al potere, ovunque e a chiunque appartenga.
La combatte il giornalista che non sceglie la strada del protagonismo, del successo personale ma continua, giorno dopo giorno, il suo lavoro al servizio dei lettori.
‘Pennivedoli puttane’, sono stati definiti così da Di Battista - del movimento 5 Stelle - i giornalisti che avrebbero “perseguitato” il sindaco di Roma.
Deploro la volgarità, i toni, i modi di queste parole, perfette per la propaganda e raggiungere un certo tipo di elettori, demonizzando la categoria dei giornalisti. Ma va detto, ci sono delle verità che Di Maio ha denunciato e su cui dobbiamo riflettere.
"La libertà di informazione si garantisce prima di tutto migliorando le condizioni di lavoro dei giornalisti. Soprattutto i giornalisti sottopagati, al limite dello sfruttamento" dichiara Luigi Di Maio. Potete dire che ha torto?
Ci sono verità che non possono essere celate dicendo solo che si tratta di un attacco alla libertà di stampa. Non è proprio così’. Il sistema del giornalismo italiano va raccontato, ripensato e in parte ricostruito.
Anche il mondo del giornalismo italiano è malato in quest’Italia stanca. Il vecchio non cede il posto al nuovo e la paura del cambiamento vince. L’editoria vive tempi di faticosa, ma anche di appassionante trasformazione che si può fare solo valorizzando risorse giovani.
Nel frattempo, c’è un altro possibile attacco alla democrazia e alla libertà dell’informazione sancita dall’articolo 21 della Costituzione: l’intenzione di tagliare e poi abolire i fondo dell’editoria. Lo ha annunciato Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'editoria, basandosi sul fatto che questi finanziamenti sono stati destinati male e usati male.
Penso che un supporto economico ben destinato, sia una garanzia importante per la libertà di stampa in una democrazia. Altrimenti i fondi andrebbero solo a privati, non certo disinteressati, e i giornali si trasformerebbero definitivamente in organi pubblicitari. Alla base del finanziamento pubblico c’è la libertà di stampa. Il finanziamento però dovrebbe essere assegnato in modo equo, regolato e soprattutto controllato. E dovrebbe consentire prima di tutto stipendi adeguati a giornalisti liberi.
Ma non vi siete accorti che molti sono diventati addirittura ‘brand ambassador’ di vari marchi commerciali per continuare a scrivere? Qui all’estero si vede bene!
Mi sono quindi certo indignata come donna, dopo le dichiarazioni di Di Battista. Il termine ‘puttana’ appartiene ad un linguaggio maschilista e poco rispettoso di un mondo molto fragile. (In un mio post su Facebook ho scritto che solo De André può permettersi di usarlo rispettando le donne).
Mi sono poi indignata come giornalista, categoria di cui faccio parte. Il suo suona troppo pericolosamente simile ad un attacco alla libertà di stampa. Il punto però è: a quale libertà di stampa?
Sono indignata quindi anche per il fatto che siano stati Di Maio e Di Battista a mettere il dito sulla piaga di un’informazione che, in Italia, è tristemente malata da tempo. Non sono certo gli unici a non volere giornalisti indipendenti. Politici di tutti i partiti hanno accanto da anni 'corti' di giornalisti [ben accomodati nella loro non-indipendenza] e nessuno sembra meravigliarsi più di tanto.
Credo che prima di parlare di libertà di stampa e manifestare, anche noi giornalisti dovremmo fare le nostre riflessioni. Non è tutto oro ciò che luccica. Ci vuole onestà per farlo. Certo: onestà intellettuale.
Cerchiamo di non regalare, nei prossimi mesi, ai populisti nostrani, un nuovo cavallo di battaglia, un altro strumento per le loro conquiste elettorali. Il giornalismo italiano è malato e si deve curare. Ma il medico deve avere il coraggio di sceglierselo da solo.
Per questo ho deciso di non sbandierare il mio tesserino di giornalista sui social per difendere una categoria, come hanno fatto molti colleghi.
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