Piero Gobetti: Stato libero ed uomini liberi

Antonella Iovino (May 10, 2011)
Organizzato dalla Casa Italiana Zerilli-Marimò un evento sul pensiero politico liberale in Italia e sul ruolo dell’attivista torinese nella ‘rivoluzione liberale’ degli anni ‘20

Importante evento alla  Casa Italiana Zerilli-Marimò   per riflettere sulle radici del liberismo radicale italiano partendo dalla personalità di Carlo Gobetti. Ad aprire la serata la lettura della lettera di saluti di Carla, nipote dell’autore e presidente del centro studi a suo nome. 

“Liberalismo è un termine del quale spesso si abusa”, Stefano Albertini, direttore della Casa Italiana Zerilli introduce con queste parole la conferenza e continua: “sembra che ognuno sia diventato liberale oggi”.
 

Subito dopo l'intervento di Riccardo Viale, direttore dell'Istituto di Cultura Italiana di New York. Nelle sue parole la constatazione che Gobetti è un autore spesso sconosciuto, verso il quale solo da poco sono iniziati studi a livello internazionale ed europeo. È stato tra i padri del liberal-socialismo, le sue idee sono state di grande apporto per Carlo Rosselli per la fondazione del movimento Giustizia e Libertà nel 1929. Era anticonformista, coraggioso, dal carattere difficile, definito da Norberto Bobbio come 'una lava incandescente'. 

Come Rosselli, seguiva con interesse le idee di Gaetano Salvemini, che denunciava il profondo divario tra il paese legale e il paese reale: a questo dilemma Gobetti rispose con la pubblicazione del volume 'La Rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia’: era necessario, a suo parere, riempire di 'liberalità' le istituzioni create con l'Unità d'Italia. Egli si trovava all'epoca a Torino, città dal forte fermento culturale in quel periodo, dove ebbe modo di incontrare tra i tanti Saragat, Buozzi, Lombroso. Molti tendono a fare molte differenze tra Gobetti e Rosselli: il primo era più teorico, filosofo politico, chiuso nell'ambiente di provincia, l'altro era un economista, aperto al mondo. Rosselli e Gobetti si possono differenziare sotto il profilo epistemologico, metodologico ed etico.

Epistemologicamente erano entrambi contro il dogmatismo nel pensiero politico, entrambi credevano nella necessità di applicazione nei processi reali. Secondo Gobetti i processi storici venivano fatti dai comportanti e dalle azioni individuali in applicazione a progetti politici.

Critico nei confronti di Mazzini, troppo legato a suo parere al pensiero politico inglese, Gobetti si ispirava a Gianbattista Vico, Alfieri, Cattaneo. Rosselli, al contrario, era vicino ad autori stranieri come Sorel, Weber, Proudon. Sotto il profilo metodologico seguivano entrambi l'individualismo metodoligico di Salvemini opponendosi a qualsiasi approccio olistico.
 

 Il metodo, il paradigma operativo, era per Gobetti la libertà: non esiste uno stato libero, ma uomini liberi. La libertà fa da cuore dell'analisi gobettiana anche nella dimensione etica: essa è il primo principio cui ispirare le proprie condotte per raggiungere la condizione di equità. Ciò che non viene approfondito da Gobetti, secondo Viale, è la definizione del ruolo delle istituzioni: “Devono intervenire all'inizio del processo politico, ponendo le premesse per poi lasciare libero ciascuno nelle modalità di condotta, o correggere i risultati finali?” Viale conclude il suo intervento notando come Gobetti e Rosselli non abbiamo goduto di grande successo in America, una realtà dove il pensiero politico è più vicino al razionalismo strumentale à la Machiavelli.
 
James Martin, co-direttore del Centro Studi 'Global Media and Democracy', del dipartmento di Politica alla University of London, ha spiegato come dopo la sua morte Gobetti sia stato riconosciuto come ispiratore di più movimenti: liberalismo, socialismo, comunismo. Tuttavia, egli intendeva il liberalismo come un movimento politico e non come una forma di governo: guardava alla libertà in senso politico e non economico; non si preoccupava della scelta del consumatore, del libero mercato, della proprietà ma della libertà di generare uno spazio politico: la libertà è un bene pubblico e collettivo. Lo stato italiano era stato imposto ai suoi cittadini, non si era consumata alcuna vera lotta politica, che invece fa da primo gradino per la convivenza secondo regole liberamente accordate. La rivoluzione russa del 1917 era vista da Gobetti come un movimento liberale, in quanto fine dell'Ancièn Regime.

L'ideologia liberale è forza di persuasione più che una fissa ideiologia. Lui vedeva se stesso come uno storico più che come un attore politico. Voleva che il liberalismo diventasse una filosofia politica per ridefinire su nuove basi l'idea di libertà. Non si trattava di un pensatore sistematico perchè aveva principalmente lo scopo di collegare, sotto l’azione politica, diversi ambiti ad un progetto comune. Era antifascista perchè nel fascismo vedeva l'annullamento di ogni principio liberale. Mori` troppo giovane per dare compimento al suo pensiero politico.

 
Niamh Cullen della 'University College' di Dublino ha descritto la vita di Gobetti a Torino e il suo trasferimento a Roma, offrendo un chiaro quadro del tessuto culturale entro il quale si era formato: il Piemonte era all'epoca la più europea delle regioni italiane e Gobetti sentiva l'impulso di trasformare l'Italia in una nazione moderna, completando il processo di civilizzazione. Deluso dal fallimento dei moti del 1920, si preoccupava che le azioni collettive venissero responsabilmente organizzate.
 
David Ward, professore al dipartimento di 'Italian Studies' del Wellesley College, ha analizzato il legame che unisce l'attivismo politico di Gobetti al pensiero politico di Alfieri. Nadia Urbinati, professoressa al dipartimento di Scienze politiche della Columbia University, ha sottolineato come l'analisi fatta da Gobetti del liberalismo sia pressochè unica, in quanto proposta da una prospettiva nuova, quella del fallimento: egli credeva nel nesso tra istituzioni liberali e cultura morale, ma non mirava ad alcuna forma di trascendenza, al contrario era profondamente legato all’istoricismo immanentista. In questo si trattava, secondo la Urbinati, di un vero modernista che guardava al conflitto, alla lotta politica, come l'elemento irriducibile dello stato, il momento fondante nel quale gli opposti  liberamente si incontrano ed oppongono. Si opponeva al corporativismo fascista per l’omogeneità che creava, era interessato dal protestantesimo che vedeva non solo come una religione ma come l’incarnazione della vita contemporanea: solo i paesi che avevano una tradizione protestante erano riusciti a sviluppare una societa` liberale; in Italia la tradizione filosofica e politica di autori come Machiavelli ed Alfieri poteva, tuutavia, sopperire alla mancanza del protestantesimo. Nella lettura di Nadia Urbinati, Gobetti è stato un vero ‘animale politico'.
 
Ha chiuso il confronto Stanislao Pugliese, professore del departimento di Storia alla Hofstra University. La sua analisi ha permesso di includere Gobetti nel quadro dell’opposizione antifascista. Il fascismo veniva da lui visto come la vera offesa alla moderna civilizzazione, espressione delle frustrazioni ed aspirazioni della classe media italiana. Era necessario, per curare l’Italia dal fascismo, rivedere le basi del suo contesto storico e sociale.
 
L’incontro ha permesso di approfondire così un autore spesso sottovalutato a partire dal secondo dopoguerra; eppure egli era tra i pochi a cercare di creare un un liberalismo tipicamente italiano. Resta da chiedersi, dunque, quale evoluzione avrebbe avuto il pensiero politico liberale italiano se non fosse morto prematuramente. Ma questa domanda certo rimane semplice speculazione.

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