L'emigrazione non è una minaccia

Anthony J. Tamburri (May 26, 2014)
Il Preside dell'Istituto di studi italo-americani "John D. Calandra" di New York intervista il Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, nel corso della visita al Museo dell'Emigrazione di Ellis Island


L'intervista che trascriviamo andrà in onda in televisione nel nostro programma settimanale i-ItalyNY (su NYC Life - Channel 25 , in tutta l'area metropolitana di New York), come parte del racconto della visita ad Ellis Island del Presidente della Camera dei Deputati.

Presidente, ha passato la sua ultima ora qui ad Ellis Island.  E' stata la sua prima visita vero?

Si, questa è la mia prima visita in assoluto. Ero già stata negli Stati Uniti ma mai ad Ellis Island. Per me è stato molto emozionante venire qui, ci tenevo moltissimo come Presidente della Camera. Questo è stato il posto dove milioni di italiani sono passati e rappresenta un valore molto significativo della nostra storia migratoria.

 

Sentire i racconti della  guida che ci ha accompagnato sulle procedure, ma soprattutto le descrizioni degli stati d’animo delle persone che arrivavano qui, è stato un po’ come riviverle. Specialmente riguardo allo stato d’animo che è lo stesso che continuano a sentire ancora oggi moltissime persone che ho incontrato negli anni di lavoro all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. La stessa sensazione di soddisfazione di essere arrivati, la stessa ansia di non sapere nulla, di non capire la lingua, la paura del futuro e i sentimenti di felicità e al tempo stesso di smarrimento rispetto alla nuova situazione.

 

La nostra guida ci ha illustrato tutto ciò. Chiaramente le procedure erano differenti, ma comunque efficienti,  era un sistema che funzionava molto bene. Anche abbastanza duro rispetto ai criteri di ammissione. Però diciamo che solo il 2% le persone che non riuscivano a passare lo screening che veniva effettuato qui a Ellis Island.

E infatti l’80% degli immigrati italiani sono entrati poco dopo lo sbarco. Queste persone hanno speso solo cinque o sei ore qui ad Ellis Island.  Non è molto paragonabile a quello che succede in Europa...

 

Si, era un sistema abbastanza efficiente in cui c’era lo screening medico e lo screening legale, ma non era troppo selettivo. C’era interesse nel far entrare persone che venivano da fuori. Rappresentavano energie vive che avrebbero contribuito allo sviluppo del Paese. Ed è proprio su questo che si fondano gli Stati Uniti d’America. Questa è la prova vivente di come l’immigrazione sia una risorsa. Di come noi italiani abbiamo contribuito a questo Paese, in tanti ambiti e in tanti settori.

 

In questa mia visita mi ha fatto piacere incontrare la vecchia migrazione ma anche la nuova, quella nuova generazione fatta di talenti, scienziati, startuppers che trovano qui un’opportunità. Anche in questo caso i miei sentimenti sono molto vari perché io sono orgogliosa che tanti italiani si facciano strada in questo Paese. Del fatto che vengano rispettati e considerati come delle eccellenze. Dall’altro lato però c’è amarezza nel non riuscire a riportare a casa questi ragazzi,  con un percorso professionale serio e gratificante per loro.


Ritengo che noi come Paese riusciremo a rialzare la testa  solo quando saremo in grado di attirare questi nostri talenti che oggi preferiscono stare all'estero perché un Paese come questo oggi offre loro delle possibilità che l’Italia purtroppo non ha potuto offrire.

Non le chiedo delle soluzioni perché ancora le stiamo cercando, però voglio domarndarle che impressione le ha  fatto questa visita ad Ellis Island, facendo riferimento all’immigrazione che c’è in questo momento in Italia. Perché l’Italia è la porta dell’Europa e quindi purtroppo soffre di più di tutte le altre nazioni europee di queste ondate di migranti dall’Africa.

 

Penso che bisognerebbe fare chiarezza su questo concetto. La gran parte delle persone che arrivano via mare in Italia sono persone che fuggono da guerre, da dittature, da persecuzioni. Dunque sono richiedenti asilo e come tali devono essere considerati, sia nel linguaggio pubblico che dal punto di vista politico.

 

E' un fenomeno comune a tanti altri paesi d’Europa perché il numero delle domande d’asilo che viene fatta in Italia non è superiore a quello di altri paesi. La cosa drammatica che tocca più da vicino l’Italia è il fatto che questa è un’emigrazione piena di rischi, questo attraversamento è una roulette russa, dove le persone salgono sul gommone senza avere la certezza di arrivare dall’altra parte.

 

Questa è la grande emergenza, questa è la grande drammaticità che gli altri Paesi non vivono ed è li che bisogna far chiaramente capire ai nostri partner europei che c’è una responsabilità collettiva. Salvare vite umane è un dovere etico, è un imperativo che non può essere solo sulle spalle dell’Italia che lo sta facendo. Io sono molto orgogliosa che questo accada, ma sarebbe auspicabile che fosse un impegno collegiale di tutti gli stati membri. Anche se si sta cercando di armonizzare a livello europeo, ci sono delle direttive che fissano gli standard minimi, però ancora oggi ogni Paese ha la sua politica sia di immigrazione che di asilo.

 

Sull’asilo almeno ci sono delle direttive europee che stabiliscono degli standard. Se però vogliamo che diventi una questione europea dobbiamo cedere sovranità. Gli stati membri ad oggi non hanno voluto cedere sovranità sulla materia migratoria e dunque è difficile reclamare più Europa quando non si è disposti anche a dare qualcosa in cambio.

Cosa le rimarrà di questa visita a Ellis Island?

La prima cosa è il rispetto, rispetto per coloro che hanno vissuto questa esperienza e hanno avuto il coraggio di lasciare il Paese per reinventarsi una nuova vita. Rispetto perché ci vuole una grande energia per fare tutto ciò. Quando si parte non si ha nessuna certezza riguardo al futuro.

 

I sentimenti rimangono sempre gli stessi. Ciò che provavano gli italiani venendo qui in America è quello che provano anche gli immigrati che entrano nelle coste italiane in questo periodo. E questo è il motivo per cui io penso che bisognerebbe rispettare le persone che arrivano invece di considerarle una minaccia.

 

E infatti anche noi Italo-Americani, che viviamo negli Stati Uniti, dovremmo sempre tenere a mente quello che i nostri nonni hanno dovuto passare per capire meglio quello che sta succedendo oggi.



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Un ringraziamento a Giovanna Pagnotta che ha collaborato alla stesura di questo testo


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