Steve McCurry, l'Italia e l'Oriente. Viaggio tra intensità di volti e pathos della natura

Francesca Di Folco (April 26, 2012)
Al Macro di Roma, nel cuore di Testaccio, una grande exhibition celebra l’elite della fotografia contemporanea, il Cartier Bresson “a colori". Oltre duecento scatti raccontano tutti i suoi reportage di viaggi, compreso quello fatto nel Belpaese per commemorare i 150 anni dell’Unità

Ci sono i manifesti strappati da un muro di Venezia e i set deserti di Cinecittà, le processioni del venerdì santo in Sicilia e il mercato bric-à-brac di Porta Portese di Roma. I colori sontuosi, la perfezione dell'inquadratura, i dettagli virtuosi, rimangono gli stessi di sempre, ma spicca un nuovo orizzonte paesaggistico, una nuova umanità, nella mostra antologica di Steve McCurry che fino al 30 aprile invade gli spazi de La Pelanda al MacroTestaccio.

 

Tra i più grandi fotografi viventi, americano di Philadelphia, classe '50, firma di punta di riviste prestigiose come National Geographic, Time, Life, è inviato da trent'anni a documentare l'universo Oriente, tra fronti di guerre, povertà, misticismi e natura, autore gli scatti autentici andirivieni di cartoline da Beirut alla Cambogia, dal Kuwait all’ex Jugoslavia, all’Afganistan.

i-Italy si immerge in questo mare magnum di 200 istantanee dove McCurry sfoggia i lavori più recenti, dal 2009 al 2011, tra buddhismo, Cuba, Birmania, fino all'Italia.

Si susseguono i volti di cui il fotoreporter è un autentico cultore, di uomini che fissano la camera il cui sguardo va ben oltre l’obbiettivo, donne il cui guizzo negli occhi parla da solo, bambini che sprizzano fulgore. Ognuno con la propria intensità, con un’espressività a sè dipinta sul volto, emanano emozioni di storie vissute da cui traspare un’aurea che fa brillare le esistenze.
 

Dall’India al Myanmar, dalla Thailandia al Vietnam, passando per Cuba e Messico, ci si perde in questa Umanità che attraversa l’intero globo, è così eterogenea da sembrare agli antipodi, una caleidoscopica girandola di razze che McCurry fonde insieme dando vita ad unmelting pot senza nazionalità, unico...

Ci muoviamo tra “igloo”: le strutture in ferro accolgono le opere, in questi “trulli” i Popoli trovano casa, e si snoda il viaggio nomade dell'Umanità.
 

Pescatori equilibristi in bilico su trampoli inclinati, bambini che si tuffano nelle acque, donne intente a lavorare...
Le istantanee fotografano un lifestyle scandito da istanti unici, incorniciano azioni che trasudano la cultura del posto, in cui gli scatti ci proiettano in scorci di società a tinte psichedeliche, figlie di antropologie multiformi...
 

i-Italy continua l’iter nel tempo e nello spazio indicato da McCurry “a contatto” con la natura estrema.

Lungo l’allestimento high-tech si dipanano scatti di matrone africane che sfidano tempeste di sabbia nel deserto, inondazioni che sotterrano terre sconfinate, earthquakes che sconquassano aree incontaminate.

La strength of nature per McCurry ha il volto della paura, ma non del dramma negli occhi dei superstiti perchè è imputabile alla furia di catastrofi ambientali, non alla follia umana...

Dalla virulenza “innocente” della natura alla violenza nefasta, perchè intenzionale, dell’uomo il passo è breve: il fotoreporter è in prima linea dei conflitti sparsi in tutto il mondo.
Bambini soldato maneggiano pistole, adolescenti militanti in eserciti imbracciano kalashnikov, uomini privi di arti a causa di esplosioni,  l’11 Settembre...

McCurry è e ci rende testimoni di sofferenze e strazi: bucano l’obbiettivo gli scatti di vite violate da eccidi dimenticati, il dramma dell’infanzia sottratta dai signori della guerra, le macerie del cimitero a cielo aperto nel crollo delle Twin Towers.

Le istantanee parlano da sè, immortalano realtà di violenza su più fronti, scandiscono il linguaggio del fotoreporter per far riflettere le coscienze d’ognuno...

Lungo questa altalena di genti, luoghi e pathos spiccano anche camei d’italianità che dal Veneto alla Sicilia sono un omaggio, frutto di sei mesi di perlustrazioni, al Belpaese in occasione dei 150 anni dell’Unità.

Spiccano i simboli della religiosità con monasteri reatini, chiese e processioni siciliane, ma anche i simboli del passato con statue latine, scorci di viuzze antiche, cittadine gioiello, autentiche chicche agli occhi di reporter, impreziosite da volti di giovani innamorati, il mercato di Porta Portese a Roma, i landscape Capitolini...

Per soddisfare le curiosità di lettori parliamo di queste e di altre peculiarità del McCurry’s style con Fabio Novembre, architetto allestitore dell’exhibition.

Lei ha curato la mostra a 360 gradi. Che cosa aggiunge un allestimento ad "igloo" high tech nei quali si snoda l'esposizione rispetto a uno ordinario, lineare? Spicca di più il senso dinamico degli eventi?

Scegliere una cupola sfaccettata come modulo espositivo non è di certo una consuetudine...

La scelta si riferisce ad un valido presupposto teorico: mentre la nostra idea di casa assomiglia sempre più ad “arroganti” dichiarazioni di potere ben salde sulla terra che occupano, a manifesti di felicità individuale che non contemplano alcuna ricaduta collettiva, le case nelle foto di Steve sono precarie, come le vite di chi le abita, simili a strutture cellulari labili.

Ed è esattamente questa suggestione che ho cercato di riportare all'interno dei grandi spazi del Macro, un allestimento come un villaggio nomade, strutture che si compenetrano per restituire quel senso di solidarietà che si respira negli scatti di McCurry.

Questa scelta progettuale ha invertito i ruoli: il visitatore entra per guardare le foto ma finisce per essere guardato da esse, scrutato da ogni direzione.

I frammenti delle esistenze, le scene di vita, la natura che si scatena, non si differenziano per "nazionalità", ma per argomenti delle immagini, come a voler suggerire che ogni igloo è “a tema” comune a popoli diversi...

Il criterio espositivo non tiene conto di variabili spazio-temporali ma lavora sull'assonanza dei soggetti, sugli imprevisti gradi di parentela che riflettono il senso di umanità a immagini scattate nei luoghi più disparati. Sono come dei corto-circuiti visivi che innescano collegamenti semantici.

Nelle istantanee c'è un confronto continuo, un autentico andirivieni, del binomio umanità-natura, dal quale scaturiscono altri temi che stanno a cuore a McCurry, la guerra, la sofferenza, l'infanzia violata dei bambini soldato. Nello stile di questo guru dello scatto prevalgono più i colori sgargianti della Nature of the World o l'intensità dei volti?

C'è la vita e c'è la morte nelle istantanee di Steve e tutto ciò che intercorre nel breve o lungo percorso che le unisce... perchè l’iter del viaggio, la scoperta e la vita sono il senso stesso di questa exhibition...

Rimaniamo sull'Umanità. Tutti i fotografi hanno uno scatto simbolo. Quello di McCurry è lo sguardo della ragazza afgana dell'84 rifotografata di recente, in via del tutto eccezionale perchè leggi ed usanze locali non lo consentirebbero.

Quanto la fotografia di McCurry, anche rispetto agli scatti di conflitti, carestie, bambini con pistole e kalashnikov, è arte e quanto denuncia delle condizioni di vita di  un'umanità sofferente?

L'arte è denuncia in toto. "Nomadi per scelta, pionieri per necessità", quando penso a Steve McCurry, alla sua vita da instancabile ricercatore della natura umana, mi viene in mente questo aforisma... I soggetti delle sue foto sono la realtà nascosta dietro quella comunicazione patinata che pensa di rappresentare l'umanità: il fotoreporter ci fornisce testimonianze visive per confrontarci con la diversità. Steve ha tutte le caratteristiche del ricercatore puro: dalla pazienza che ci vuole per scattare una foto, all'inquietudine che lo spinge sempre verso una nuova frontiera da varcare...

Il sottofondo musicale non è certo lasciato al caso, ci racconta come lo avete scelto...

Il genere somiglia molto agli scatti, stili diversi di melodie si alternano di continuo...

Ho effettivamente cercato di ricreare il suondtrack che accompagna la vita di Steve. La colonna sonora della mostra è in realtà un mix di varie radio dei paesi che Steve ha esplorato in questi anni, dall'Iran al Libano, dal Brasile all'India. L'ultima stanza è invece caratterizzata da "Lascia ch'io pianga" di Handel interpretata da Farinelli. Dopo il percorso che si sviluppa dalla vita alla morte, un'aria come questa penso sia adatta a comunicare un senso di resurrezione, usato a supporto dei segni di speranza che trapelano dalle ultime immagini.

Vari scatti negli igloo si riferiscono all'Italia. Che rapporto ha McCurry con l'Italianità, quali sono gli scorci che lo hanno interessato di più? Come un fotoreporter americano si rapporta con la storia del Belpaese che festeggia i 150 dell'Unità?

Steve adora l'Italia, che ha voluto omaggiare con molte istantanee per l’Unità, celebrando il momento importante, e l'Italia adora questo fotografo. Del resto è l'unico autore contemporaneo le cui mostre fanno gli ingressi di grandi artisti del passato quali Picasso o Dalì. Parliamo infatti di più di 100mila visitatori sia a Milano che a Roma, numeri da popstar dell'arte.

 
 

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