New York's Golden Age of Bridges. Antonio Masi ritrae la poesia dei ponti newyorkesi

Francesca Di Folco (August 23, 2012)
Con la personale in mostra al prestigioso New York Transit Museum il pittore italo-americano esprime la sua visione impressionista dei bridges che evoca negli spettatori emozioni recondite ed incoscie mai trascorse, suscita feelings di stupore per scorci sempre nuovi, impreziositi da visioni di charming inestimabile della City

E’ il primo ed unico fin’ora ad aver immortalato tutti i ponti di Manhattan.
 

E il New York Transit Museum, che come suggerisce la traduzione, è il museo che celebra i mezzi di trasporto newyorkesi, rende omaggio ad Antonio Masi pittore italo-americano d.o.c. dedicandogli una personale in esposizione fino al 7 ottobre.
 

La full immersion nell’exhibition è una chicca in sè che merita di esser svelata a parole, ma solo anticipato poichè deve essere carpita in prima persona...

Emerge un sottobosco pulsante di feelings, dreams e states of mind che merita di esser vissuto appieno...

Prestigio e onore per l’arte, stile ed estro nella vita di Antonio Masi hanno sempre spiccato.

Masi emigrò dall'Italia a New York City all’età di sette anni, entrando a Ellis Island il 7 dicembre del 1947, con i suoi genitori e i fratelli.

Cinquanta anni prima il nonno di Masi, Francesco, aveva lavorato nella gestione e il trasporto dell’acciaio come parte della forza lavoro che costruì il Queensboro Bridge.

I trascorsi dell’adorato nonno hanno significativamente segnato mente e cuore dell’artista in potenza che era in Antonio: le narrazioni della costruzione del mitico bridge fatte da Francesco, furono raccontate alla famiglia Masi e Antonio, che da sempre adorava disegnare, ne fu intrigato.

Al suo arrivo a New York, Masi fu profondamente attratto dal charming della City, ammaliato dal fascino iconico dei ponti, estasiato specialmente del Queensboro...

L’attimo in cui vide il complesso fu una vera e propria folgorazione rivelatrice del futuro del giovane: sarebbe divenuto un artista, un painter...

Con la sua famiglia di stanza nell’Upper East Side, Masi frequentò l’High School of Industrial Art, eccellendo nelle illustrationi, diplomandosi nel 1958 per accedere poi alla School of Visual Arts and was graduated with honors in 1961.

Antinio inizia la sua carriera professionale come artista per numerose pubblicazioni e art agenzie d’arte e nel 1962 si sposa con l’artista Elizabeth Jorg, mettendo su famiglia.

Nel ‘66 insegna arte all’High School of Industrial Art, nel ‘73 è nominato Art Chairperson e, iscritto alla CUNY, consegue la laurea in History of Art nel ‘75.

La carriera prosegue e Masi nel ‘79 divenne partner di Ads ‘n Color, tra i più prestigiosi e quotati studi di graphic arts and printing companies.

Il 2000, è l’anno del grande passo: dopo 40 lustri di lavoro abbanda i suoi affari per darsi totalmente all’arte, il pittore inside che è in lui viene alla luce: è finalmente libero di soddisfare il sogno che aveva fin dall’infanzia, di dar sfogo alla passione di una vita, divenire un artista a tempo pieno, un painter a 360°...

Per quasi dieci anni, Masi si concentra prevalentemente su dipinti riguardo i ponti di New York City, iniziando dal Queensboro. Ad oggi, l’artista ha completato più di un centinaio di tele e nominare come serie “Bridgescapes”.

Nel 2006, The Artist’s Magazine sceglie le tele di Masi sul Queensboro Bridge, il “N.Y. Tramway II,” come vincitore del First Place nella categoria Landscape nel contesto “Best Art” del magazine che descrisse “N.Y. Tramway II” come “dark and pulsating” and relating “a stirring, overpowering sensation.”

In New York's Golden Age of Bridges che abbiamo il piacere e l’onore di vedere al New York Transit Museum, l’artista collabora con lo scrittore e storico newyorkese Joan Marans Dim per offrire una multidimensional exploration dei nove maggiori ponti di New York, il loro artistici e culturali basi, e il loro impatto in tutto il mondo.

E non è retorica dire che rimirando le tele, Masi ci proietta direttamnete sui ponti, nel cuore dei giganti d’acciaio, la sensazione che si avverte è di far quasi parte dello splendido landscape che ritraggono...

Il racconto su New York City's bridges inizia nel 1883, quando il Brooklyn Bridge emerse maestosamente sull’East River, segnando l’inizio della "Golden Age" della costruzione di bridges negli States. Il Williamsburg seguì nel 1903, il Queensboro, rinominato Ed Koch Queensboro Bridge, e il Manhattan nel 1909, poi fu la volta del George Washington nel 1931, dell Triborough, rinominato Robert F. Kennedy Bridge nel 1936, del Bronx-Whitestone nel 1939, Throgs Neck nel 1961 e il Verrazano-Narrows nel 1964.

I più grandi ponti statunitensi, costruiti quasi interamente da ingenieri, architetti e lavoratori immigrati hanno come significato profondo non solo lavoro e l’ingegno, ma anche il coraggio e il sacrificio di chi li costruì. Che troppo spesso esigette un pesante tributo: un numero impressionante di vittime perì tirando su questi complessi monumentali. Lo stesso designer e ingegnere capo del Brooklyn Bridge, John A. Roebling, morì durante la costruzione del ponte. Eppure oltre questi aneddoti esiste un’altra narrativa che abbarccia dreams and ambitions della City e dell’intera America.

Behind New York City's Golden Age bridges c’è la rivelazione di un perfect moment di grandie progettazione di costruzioni per stile, ingegno, complessità d’articolazione dei lavori facenti parte di un contesto storico-artistico di notevole rilievo...

Beyond New York City's Golden Age bridges c’è la comprensione, l’apprezzamento, il riconoscimento, oltre che del valore proprio dell’arte e della storia dei ponti, ad esplorare l’inestimabile links che bridges favoriscono dando vita a spaccati sociali, culturali, economici di interconnessione.

Masi predilige la tecnica watercolorist, ma i suoi dipinti non hanno il sapore, non suggeriscono l’idea fragile ed incosistente dei watercolor paintings...

Tuttaltro, dalle tele emergono sfumature di colore forti, tite decise, toni straripanti di guizzi briosi...

Masi ha saputo trasformare una tecnica usata in prevalenza per indicare leggerezza dello sguardo impreziosendola nello stesso modo che altri usano olii.

Il risultato è un approccio eccellente. La tecnica unica di Masi sull’uso del watercolor lo accompagna nel catturare each bridge’s mass, power, and delicacy dei ponti di Manhattan.

Ognuno di questi ponti ha una storia a sè, una vita propria, si nutre di linfa pulsante singolare...

Il tocco unico dell’artista è certo quello di saper fondere dovizia di dettagli materiali, strutturali, fisici con sprazzi folgoranti di feelings: quante genti li hanno attraversati, quante storie si sono intrecciate su questi giganti con l’anima, quanti ancora vivono e vivranno per sempre le stupefacenti connessioni non solo fisiche, di uso-trasporto, ma mentali, di pura parità tra le comunità multietniche e autentica freedom open-minded...

Il tutto rivela lo straordinario impatto dei nove ponti della Golden Age sulla City, la nazione e il mondo intero.

Abbiamo parlato della splendida exhibition con l’autore Antonio Masi che ci ha gentilmente concesso un intervista.

Come nasce il suo interesse per i ponti di New York? Francesco Masi, suo nonno, faceva parte dell’enturage-forza lavoro che costruì il Queensboro Bridge...


Questo l'ha influenzata per i ponti di New York City?

Crescere in una grande famiglia, la mia conta ben 8 tra fratelli e sorelle, ascoltando storie americane, vissuti statunitensi ed esperienze in prima persona di mio nonno, Francesco Masi, manovale sul Queensboro Bridge, ha suscitato in me immagini d’apprima stereotipate su New York City, poi via via sempre più nitide, concrete, vere... fino a divenire reali con il trasferimento nel Nuovo Continenete...

Infatti subito dopo la traversata, il mio primo desiderio nella Big Apple fu di vedere il Queensboro Bridge, struttura iconica dall’impatto travolgente per l’impronta artistica indelebile che mi lasciò addosso...

Questi primi respiri statunitensi crearono visioni di Manhattan, New York e l’America, che hanno fatto e continuano a far parte di me, condizionando, influenzando, caricando di continuo la mia arte...

Per quasi dieci anni lei si è focalizzato quasi esclusivamente sui dipinti dei ponti di New York, iniziando dal Queensboro e, a oggi, ha portato in opera più di un centinaio di tele, considerando la “Bridgescapes” series.

Perchè i ponti sono protagonisti nella sua produzione? Qual’è l’elemento più importante dal quale è ispirato?

Ero e sono tutt’ora interessato all’architettura. Fui selezionato al Cooper Union for Architecture, ma accettai uno scholarship to the School of Visual Arts per le illustrazioni, perchè sentii che avrei potuto avere molta più libertà d’espressione artistico-creativa. Anche se le materie dei miei soggetti non lasciavano trasparire molto le emozioni, poichè l’elemento più rilevante è catturare il “Senso del Posto”, faccio in modo che i viewers sentano, avvertano, scrutino con gli occhi del pittore che ritrae la tela e vedano ciò che lui avverte, scorgano i dettagli che giudica rilevanti, si nutrono della sua visione...

L’elemento dal quale colgo ispirazione Sono molto attento e avverto la rilevanza della dimensione pittorica vicina a me... Dai commenti dei surroundings artistici, ai feeling dei neighborhood, tutto da il senso della temperatura creativa del momento. Chiedendo un commento sulle mie tele, una persona mi rispose: “Sono così grandi -i miei paintings sono 60”x40”- che mi sento come fossi sopra al ponte stesso!”...

In "New York's Golden Age of Bridges" le tele ritraggono ponti in uno stile impressionista. Lei pensa che i dipinti siano espressione della real nature dei soggetti o si sente più creatore di una personal interpretation of reality?

Credo che tutti i dipinti siano una personale interpretazione dell’esistenza e dei momenti della vita degli artisti che li realizzano. Tutti noi siamo frutto dell’ambiente creativo nel quale ci forgiamo, la nostra arte trae i primi vagiti e ci consente lo sviluppo pieno dell’estro...

Il mio modus operandi, processo creativo della mia pittura, l’incipit lo avverto incontrando il soggetto, ponte in questione, di persona...

Cammino avanti e indietro attraverso la struttura per capirne i dettargli, coglierne la complessità e abbozzare mentalmente schizzi...

Vado ad assorbire l’energia che sprigiona il ponte... a le sensazioni che mi provoca e, in relazione ad esse, le trasformo traducendole in arte...

Sul posto faccio uno sketch attraverso forme astratte sul mio blocco e creo una composizione stimolante...

Stilo di getto il disegno, valuto colori e prospettive, basilari per catturare la mia personale interpretatione del momento...

La cosa più complessa -e insieme la più rilevante- è essere focalizzato sulla visione che per prima mi ha ispirato: uno stralciato del lavoro che giudico molto duro èseguire i progressi delle tele e prendere decisioni che supportino il concetto e la visione del dipinto.

Il mio lavoro si nutre del catturare l’essenza fondamentale dell’immagine, il core del soggetto, che è l’anima, spirito ed l’essenza di tutto ciò che vediamo e sentiamo.

Le sue tele sono realizzate esclusivamnete con watercolors. L’uso degli acquarelli è legato ad una particolare ragione e/oscelta tecnico-stilistica?

In origine usavo oil paints, poi mia moglie Elizabeth mi suggerì di provare gli acquarelli.

Watercolor, data la sua natura fluida, regala luce, delicatezza e transparenza.

Presto ho scoperto che l’aggiunta di un lieve body color, medium davvero potente, regala tocchi personali alla tela, impreziosendo il dipinto con linfa vitale nuova...

L’effetto che se ne trae è uno sguardo come si hanno solo in volo, quando si avverte la sensazione del librarsi, che si articola in note di leggerezza, seguite, l’istante dopo, da toni decisi e accesi.

Questo era la chiave interpretativa che cercavo: la cresta di ferro contro la luce dell’atmosfera, la poliedricità delle strutture portentose in grado di connettere districts stracolmi di etnie versus mozioni di solitudine di visioni, un eterno rimando al gioco degli opposti...

In "New York's Golden Age of Bridges" la sua arte ha il potere di ri-creare sogni. Lei vive e lavora a New York. Realtà a tinte forti e ritmi frenetici della City condizionano la dimensione etnica delle tue opere? Le tue tele sono uno specchio della società statunitense?

New York City è una realtà frenetica, lontana davvero anni luce dall’idillico luogo dei miei natali...

Ho superato la 60ina di anni a New York City, e continuo ad essere ispirato per ricreare queste strutture che così mi sbalordiscono...

Attraversare il Brooklyn Bridge, stare alla sua presenza, sentire la sua immensità...

Si è dominati dai segni e dalle possibilità di Manhattan. Esperienze di questo tipo lasciano un tattoo impresso nella mente.

Sono così overpowering feeling dalla City, che i ponti sono quasi nel mio Dna...

Lei considera i ponti come "living part" della City? Si possono considerare come connessioni oltre che tra quartieri e distretti anche tra differenti states of mind, mindsets?

Per Harold Holzer: “Bridges are perhaps the most overlooked of the human-made landscape-altering master pieces of the New York cityscapes”.

Per oltre un decennio ho ritratto i maggiori ponti di Manhattan. Questi connettono più che terre, luoghi e siti, people, masse, umanità... Sono un’ancora viva con il mio passato...

Poichè ogni ponte è aperto, connesso in linking con quartieri, distretti, boulevard indicanti il fiorire di realtà di vita sociale, crescita economica, spaccati culturali, estri artistici di tutto rilievo...

Senza questi giganti con l’anima mancherebbe brio, exciting, amazing...

Sono lo skyline febbrile della City, il lifeline che muove tutto...

New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la sua arte? Cosa ti ispira della Grande Mela? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

Quando si attraversa il Brooklyn Bridge, si pensa di averlo conquistato... Invece si realizza poi che è lui ad averci conquistato con its history and imposing structure.

New York è una reflection of the world con la sua multi-ethnicity. Questa diversity è la sua grandezza, l’open minded. Ti fanno venire la sensazione di vivere in un specchio di immagini che si affacciano sul mondo intero...

Camminare su di essi consente di notare scorci, fa emergere spaccati, vivere sempre nel mezzo potendo esser trasportati dall’altra parte...

Questo è stimolante ed eccitante...

I più grandi ponti americani costruiti quasi interamente da ingegneri, architetti e manodopera immigrata hanno per me un simbolismo denso di significati chiamato “American Dream”, dal quale sgorgano speranze, investimenti di vite, desideri più reconditi di affermazione...

Se ho reso l’idea ben si comprende quale può esser l’effetto pieno di queste buildings sui miei thoughts, feeling, dreams e art.

I suoi lavori sono stati esibiti in tutta America, ma lei è un Italian-American painter...
Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

Il mio background creativo si infarcisce e pone radici nel contesto dell’arte occidentale e in particolar modo dal Rinascimento. Tutte le arti hanno principi comuni fondamentali che si sono sviluppati nei secoli...

Ogni generazione reinterpreta questi principi secondo i loro periodo, l’ambiente e adjusts them accordingly. Che il pittore sia realistico, astratto o non -rappresentativo, i principi fondamentali esistono in tutti. Solo la superficie fa la differenza, solo questa appare difforme...

Per far proliferare l’arte ci carichiamo sulle spalle peso, onere, rilevanze stilistiche di coloro che ci hanno preceduto, sperando di contribuire degnamente alla diffusione della complessità dell’arte...

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