Lady Noir a Manhattan. Con Requiem Marta Jovanovic mette in scena il suo funeral party

Francesca Di Folco (July 25, 2012)
  • Cappella dei Pazzi, Firenze   foto Marinella Paolini
Nella cornice della Location one, nel cuore di Soho, abbiamo assistito a Requiem, performance sull'uguaglianza dei sessi che inizialmente avrebbe dovuto aver luogo nella cappella dei Pazzi, a Firenze, ma che, giudicata dalle alte sfere clericali "non consona" ad essere realizzata nel locali ecclesiastici, è stata censurata. Ne abbiamo parlato con l’artista, Marta Jovanovic

Si sa tutte le exhibition nella Big Apple sono uniche in sé, perle rare e caratteristiche. Capaci di suscitare esperienze ed emozioni irripetibili, inimitabili. Fin qui nulla di stravagante. Eppure quella a cui abbiamo assistito al 26 di Greene Street, nel cuore di Soho, sfida qualunque cliché.

Nella Location one, gallery che si presenta come un “independent, non-profit center for

artistic experimentation and advanced thinking exhibition space about the arts”, Marta Jovanovic mette letteralmente in scena il proprio funerale.

O quanto meno quello dell’alter-ego che la identifica questa poliedrica artista. 

La performer serba, nata a Belgrado, laureatasi presso la Tulane University negli Stati Uniti, vive e lavora tra Roma, Londra e New York.

Impronta di shining e vero fiore all'occhiello l’iter artistico della Jovanovic l’ha avuto negli anni dello studio delle belle arti e del Rinascimento, a Firenze, frequentando la Scuola Lorenzo dei Medici, preziosa per comprendere i canoni della bellezza e la loro relatività. 

I lavori provocatori di Marta Jovanovic, attiva su Europa e Stati Uniti, sono di stanza nella Big Apple dove la maker art fa parlare di sé con Shoot Me!, performance nella Location One.
Studio Marina Abramovic già nel Novembre 2010 e prendono il volo nel suo paese natio dove ha un'installazione LoveFortuneTruth permanente nel giardino del Museum of Yugoslav History.

Nel frattenpo fioccano collaborazioni con curatori apprezzati come Achille Bonito Oliva e Jovana Stokic in spazi del calibro del Museo Pietro Canonica e il Museo della Civiltà Romana nella Capitale del Belpaese. Nel 2012, Jovanovic riceve il premio Roma Capitale dalla Città di Roma, per gli alti risultati artistici nella reppresentazione della culture serba in Italia. 

La Jovanovic è reppresentata dalla BOSI Artes Gallery a Roma, e dalla gemella Bosi Contemporary a Manhattan, galleria grazie alla quale è stato possibile mettere in scena Requiem in cui la performer reclama un posto per le donne nel “pantheon”, tradizionalmente maschile.
In questa performance funeraria, la Jovanovic crea una finta veglia, posizionando simbolicamete se stessa dentro la cappella dei Pazzi, nella chiesa francescana di Santa Croce, a Firenze, conosciuta come il Tempio delle Glorie Italiane, dove le tombe di grandi artisti, scrittori, architetti, e la maggior parte dei pensatori umanisti dell'epoca, come Michelangelo Buonarotti, Dante Alighieri, Nicolò Machiavelli, Filippo Brunelleschi, sono sepolti.

In questa cornice più unica che rara l'art maker, grazie agli scatti di Marinella Paolini, ha ricreato istanti alquanto particolari nelle esistenze di ognuno...

Ha provveduto a plasmare, modellare, dar vita ad un corpo somigliante in maniera impressionante al proprio...

Da cotanta verosimiglianza di scene, il tutto ha l’impatto forgorante di suscitare negli spettatori emozioni, vere, reali, autentiche per omaggiare una morte in realtà mai avvenuta...

Le luci soffuse s’abbassano, il vociferare dei presenti s’affievolisce, musiche dai toni carichi inebriano la sala, aleggia suggestione nell’aria ed ecco che una delle scene che più scuotono ognuno, prende vita davanti ai nostri occhi: una Marta Jovanovic, dal volto disteso, circondata da gigli, nella cornice di una ricreata cappella dei Pazzi di Santa Croce a Firenze, giace vestita a lutto e deposta in una bara.

Sfilano i volti di coloro che nell’immaginario dell’artist devono essere i conoscenti venuti a renderle omaggio: donne e uomini, forse parenti o amici, depongono fiori, le sfiorano il corpo statuario, la baciano per l’estremo saluto...

Colpisce che, nell’immaginario del mesto nel quale siamo abituati a vivere queste cerimonie, il tutto avvenga in un contest caratteristico: s’avverte ilarità tra musiche di Chopen, cicaleccio di gente che parlotta, schiamazzi quasi...

L’interrogativo che vien da porsi è: “Che sia un funeral party, sinonimo di vita, mirror of life?”, non v’è nulla infatti della tristezza funerea della morte...

L’exhibition continua a snodarsi sotto i nostri occhi... L’andirivieni di persone ora lascia spazio all’incontro impossibile, che con la performer invece diventa reale, quello con se stessa...

Marta Jovanovic sistema l’abito, olia i piedi, deterge il decoltè del suo alter-ego defunto...

Pettina i capelli, spazzola il vestito e bacia la riproduzione della propria persona...

La performer lascia toccare e tocca a sua volta le “proprie spoglie”...

L’artista interviene a più riprese interagendo con il suo io: è la rottura di paure, ansie, subordinazioni alla vita e alla morte con la quale si può allora dialogare, quasi in senso tattile.

Liberazioni, più in generale, da sorte di taboo di ogni tipo...

Con verve e sense of humor, la Jovanovic si esprime sull'uguaglianaza dei sessi, proibita dalla Chiesa sin dall'epoca rinascimentale come sito per la nascita dell'umanismo, dell'individualità degli artisti e il mecenatismo. Il progetto per la performance della Jovanovic, pur visionato per esser situata nella cappella dei Pazzi, è stato respinto dalla Chiesa perchè giudicato "non consono" ad essere realizzato nel locali eclesiastici.

L'exhibition termina, la veglia s’interrompe come era iniziata...

Sprazzi di suggestione si fondono in un mix d’armonia pura che lascia spazio alla pace dei sensi, alla pacatezza dell’anima, ad un intreccio surreale eppur possibile tra due dimensioni l'essere e il non essere che diventano una sola...

Nella commozione generale ci siamo avvicinati all’artist richiedendole un’intervista, che la Jovanovic ha gentilmente concesso.


E' una scelta forte inscenare il proprio funerale. Qual è il significato di questa performance così singolare nel suo genere? Che cosa ti ha ispirato Requiem, ovvero da cosa hai preso spunto per la messa in scena?

Nella chiesa di Santa Croce a Firenze ci sono le tombe di Michelangelo, Machiavelli, Brunelleschi e tutti i grandi del tempo...

Io volevo creare il mio funerale nella Capella Pazzi e, figurativamente, essere sepolta accanto a loro non come Marta Jovanovic ma come un’ artista performer. La mia intenzione era di mostrare l’importanza della Performance Art e di raccontare come la stessa, anche se non la si puo vendere o comprare, ha lo stesso peso di un quadro o di una scultura di marmo... 

Mi spiace che non sia stato possibile realizzare la mia performance nella Chiesa di Santa Croce poichè non ne ho ricevuto l’autorizzazione. Non mi sono di certo scoraggiata e nel magnifico spazio di Location One a Soho, New York, abbiamo messo in scena la performance inizialmente pensata per la cornice della Capella Pazzi.

Nell'exhibition la tua non è solo una parte passiva, ma intervieni a più riprese: sistemi l'abito, sfiori il corpo, detergi il volto sul tuo alter-ego... Anche le altre persone si fermano a rendere omaggio, a dare l'estremo saluto alla Marta Jovanovic distesa... 

Che significato hanno entrambe le tue parti, il tuo io passato a miglior vita e quella che interviene in Requiem attraverso il tuo interagire con la te stessa defunta?

E gli altri, amici conoscenti parenti, che ruolo giocano?

Come ho gia menzionato, non si tratta di me stessa, di Marta Jovanovic, si tratta di una “female performance artist” che chiede il suo posto nel Pantheon dei grandi della storia dell’arte occupato per la maggiore da appartenenti alla sfera maschile. Il mezzo di comunicazione per un performance artist è il corpo e io ho creato la coppia identica del mio corpo in silicone e ho ottenuto una similarità spaventosa, un iperrealismo in terza dimensione che mi ha aiutato ad ottenere un così forte effetto di “mirroring”. L’idea nasce dal significato di una tomba: le tombe esistono per mantenere viva per sempre la memoria del defunto. Anche se, come nel caso di Michelangelo a Santa Croce, la tomba è “vuota” il corpo sta da altra parte. La copia del mio corpo in silicone è, in un certo senso, paragonabile alla tomba finta.

La partecipazione del pubblico non era programmata! Abbiamo chiesto sull’invito una tenuta formale per mantenere l’atmosfera e francamente ero molto sorpresa quando le persone si sono presentate portando i fiori e una signora ha pianto a voce alta mentre altri hanno partecipato in altri modi. Questa è la bellezza della Performance Art, non sai mai dove ti può portare l’emozione!

La cornice di Requiem inscena un'aria funesta: il tuo alter ego è vestito a lutto, è disteso in posizione inequivocabile, i gigli deposti denotano omaggi floreali tipici per omaggiare i defunti... Eppure le liriche ad alto volume, il cicaleccio della folla e l'andirivieni continuo di performer nella scena danno un senso d'intensità, di efflato vitale, quasi di brio... E' voluto questo contrasto? Una sorta di gioco-forza morte-vita sono l'uno lo specchio dell'altro, s'intrecciano di continuo, si fondono quasi?

Assoluttamente sì! Per me è stato un lutto non poter fare la performance a Santa Croce. Allo stesso tempo, si è accumulata intensità nel processo creativo. Performance Art è una lotta costante fra la vita e la morte perchè è effimera, è un’emozione breve e sai che da un momento all’altro va a morire, come una farfalla. Non si tratta di un quadro appeso in un museo o una galleria e puoi andare a vederlo quando si vuole. Concepisco la Performance Art, come sinonimo di arte legata all’istante, al momento, in cui si colglie al volo l’attimo unico e irripetibile... 

Se non ci sei in quel momento, l’hai perso, non lo vedrai mai più, quantomeno non in quella forma, in quella dimensione o in quel contesto spazio temporale...

Anche la documentazione secondo me non può mai avere l’intensità del momento dal vivo... Invece se ci sei, non sai mai che cosa succederà e quale impatto lascierà...

L'exhibition è ambientata all'interno della cappella dei Pazzi, nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Particolarità nella particolarità... Da cosa è dipesa questa scelta di fiction-location tutta italiana?

L’idea per questa performance nasce in Italia, a Firenze dove ho studiato e vissuto. Il concetto è stato elaborato insieme al curatore romano Simone Verde. La città dei Medici nel Rinascimento diviene patria della figura dell’artista cosi come l’avvertiamo oggi, con l’appoggio di cultori, estimatori, autentici mecenati. Come performance artist, ancora oggi mi succede che mi domandino che tipo di arte è quella che la Performance Art anche se nelle sue varie forme questa esiste dal Futurismo, è ancora poco conosciuta. 

A New York, dopo la mostra blockbuster di Marina Abramovic a MoMA, la Performance Art sta diventando quasi mainstream...

Sei l'artista Cosmopolita per eccellenza, una vera Cittadina del Mondo, esponi in Serbia, la tua terra natale, sei attiva a Roma, Londra e New York che sembrano averti adottato... 

Come vengono accolte ed apprezzate le tue opere in scorci d'universi artistici così diversi?

Cerco di usare un linguaggio universale e come dicono gli Americani: I wouldn’t have it any other way!

New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita newyorkesi da cui prendi spunto per la tua arte? Cosa ti ispira della Big Apple? Quali sono gli effetti sulla tua arte?

New York è una giostra frenetica che non ti lascia respirare! Qui mi sento a casa perchè l’arte che faccio è a casa, non devo spiegare e giustificarmi. La Big Apple è per me una specie di afrodisiaco della vita e della creazione, basta che vedo le sue luci atterrando al JFK e mi sento tranquilla, so che sono arrivata a casa!

Tu hai studiato nella scuola Lorenzo dei Medici a Firenze, collaborato con il Museo Pietro Canonica e con il Museo della Civiltà Romana nella città Eterna, ricevendo anche un premio dalla città di Roma nel 2012 per le tue qualità artistiche...
Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

Gli States e l’Italia sono mondi completamente diversi. Il primi sono un paese che ha il presidente di colore e dove il matrimonio gay sta diventando una normalità all’ordine del giorno, penso che questi fatti dimostrano che si tratta di un mondo che guarda avanti e questo si riflette su tutte le sfaccettature della vita, del lavoro, dei rapporti sociali...

Sono coinvolta quasi sentimentalmente col Belpaese: adoro l’Italia, la sua storia, l’arte, cibo, paesaggi, persone ma per me è difficilissimo lavorarvi...

Secondo me l’arte contemporanea non esiste ancora in Italia, altrimenti Maurizio Cattelan, e con lui tantissimi altri artisti della scena italiana che stanno scrivendo la storia dell’arte, non lavorerebbero a New York, come invece fanno. 

Ritengo che questo sia un vero peccato...

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