Intervista a Rosi. Il regista che ha aperto il NYFF

Maria Vittoria Solomita (June 01, 2010)
Con “Below sea level”, l'autore del documentario controverso e pluripremiato fotografa uno spaccato di emarginazione americana

Direttamente dall’Italia approda all’Anthology Film Archives di NY la migliore scrematura dei video selezionati dal fiorentino Festival dei Popoli.

Oltre quindicimila film documentari dal taglio sociale, custoditi in un archivio in continua crescita. Tra questi, una rosa di titoli è stata presentata ai newyorkesi in una cinque giorni di proiezioni e incontri.
 

Il film di apertura è l’opera sicuramente più controversa e premiata di Gianfranco Rosi, “Below sea level”. Esclusa dal Sundance e dall’Idfa di Amsterdam, il film è stato, invece, insignito del Premio Orizzonte a Venezia nel 2008 e del Grand Prix al Cinéma du Réel l’anno seguente.  
 

Abbiamo raggiunto il regista, all’Anthology Film Archives, per un’intervista al limite del radiofonico. Domande dirette e risposte altrettanto precise e profonde. Come ci si aspettava. Quello che, forse non era scontata  era la risposta del pubblico: attento, sollecito.

Beh, il mio film a Venezia ha avuto un successo enorme di pubblico; sala pienissima, standing-ovation. Poi è uscito nelle sale, a Roma al Cinema Farnese e al Sacher di Moretti. E’ andato benissimo…

Però di solito, in Italia i documentari hanno una vita difficile, così come arduo è il reperimento dei fondi per produrli.

Io me lo sono autoprodotto, infatti. Questo anche perché intendevo mantenere una libertà nel percorso di produzione, decisamente lungo. Per questo film ci sono voluti cinque anni.
 

Una gestazione travagliata…

Sì, per me è una sofferenza, anche perché non sai mai se generi un mostro! E comunque nessun produttore mi avrebbe supportato. Ho sempre lavorato su altre cose per poter poi dedicarmi al documentario. Insegno, faccio il direttore della fotografia, curo doppiaggi; quindi, alterno lavori istituzionali ai “miei” film.
 

Ecco, quindi, a NY un suo film, “Below sea level”, sostanzialmente la fotografia di un gruppo di outsider, personaggi che volontariamente si sono isolati dalla società. In conferenza si è autodefinito outsider, dato che in Italia lo considerano americano –per gli anni trascorsi qui negli Stati Uniti- mentre in America lo ritengono italiano. Quanto si sente rispecchiato in questa pellicola?

I miei personaggi sono veri e propri pionieri, alla scoperta del nuovo West. Cercano la libertà, anche l’amore, per quanto possibile. Vivono ai margini, perché nessuno ha mai posto un occhio su una realtà che forse rifugge. Il film ci costringe a prendere coscienza di quell’universo. I miei personaggi in questo mi rispecchiano, non sono visti facilmente: il mio film solo ora, per la prima volta, viene proiettato in America.
 

Però ad apertura di un Festival. Mi sembra un’ottima rivalsa. 

Beh, sì, ma sono entrato dalla porta di servizio!
 

Potendo fare un documentario in Italia, ora, su cosa si concentrerebbe, ancora sugli esclusi, magari sui disoccupati, sugli immigrati?

Sto iniziando una coproduzione italo francese proprio in questi giorni. Il film è incentrato sul Grande Raccordo Anulare romano.
 

Quel Sacro GRA di cui tanto si parla…

E la risata isterica scoppia all’unisono. Conosciamo Roma entrambi. E ci è capitato più volte di percorrere il raccordo anulare che circonda la capitale.
Ripensiamo al Guzzanti-Venditti-style e al Suo “Grande Raccordo Anulare”. Rosi ritorna al suo film.
..

Questa volta non firmo, però, la sceneggiatura. Il film è su commissione, per cui mi occuperò esclusivamente della regia e l’idea mi affascina molto. Vivrò in una roulotte intorno al raccordo per un anno e mezzo.
 

Non resta che augurargli il meglio, perché, anche se visto solo da una roulotte, il Grande Raccordo Anulare…che circonda la capitale…potrebbe stressare, a lungo andare (rime involontarie, ma oramai Guzzanti-Venditti è in loop e contamina la chiusa dell’articolo).

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