"Cabbage". Il surreale dell'inconscio e la realtà dell'umano in mostra

Francesca di Folco (March 09, 2010)
Dal 17 Gennaio al 3 Febbraio la Galleria degli Antichi Forni di Macerata ha ospitato la rassegna “Cabbage”. i-italy ha seguito l'opening e incontrato Sandy Skoglund, fotografa e installation artist

E' la sera del 17 Gennaio quando il Gotha dell'arte surrealista si riunisce nella fascinosa location della Galleria degli Antichi Forni, in Piaggia della Torre a Macerata. L'occasione è “Cabbage”, collettiva promossa dall'Associazione Arte Contemporanea Fabrizio Orsini e curata da Camilla Boemio

“Cabbage” indaga il filone della fotografia surreale, esplora mondi magici, trend a effetto.

L'exhibition svela spaccati di vita straordinari in labirinti di colori contrastanti. L'impatto cattura gli spettatori proiettandoli in universi filmici da sogno.
 

“Cabbage”, come l'ortaggio, si compone di strati. Ogni layer of reality è ricco di sfaccettature, assume sfumature diverse, rimanda a significati correlati l’uno all’altro. Gli scatti svelano Surrealist art: aspetti fantastici prendono vita in realtà alterate, misteriose, da reinterpretare.

Il rimando è alla società poliedrica, multiforme, cosmopolita in cui identità fa rima con diversità.

 
Alla collettiva partecipano due tra i più famosi fotografi internazionali: David Stewart e Sandy Skoglund.

Ci inoltriamo tra gli scatti di questi maestri d'arte contemporanea.

“Cabbage” prende il nome dalla serie ideata da David Stewart su verdure in chiave surreale. L'autore inglese è artista a 360°, nel '95 la sua arte fotografica si fa film: Stewart dirige “Cabbage”, cortometraggio presentato in anteprima italiana a Macerata. Il film breve gli vale la nomination al prestigioso BAFTA, British Academy Film and Television Arts.

L’altra serie esposta è “Fogeys” del 2001. Qui il fotografo ritrae eccentrici anziani, inquadrati in pose kitsch, come strategiche pubblicità moderne. Con “Fogeys” Stewart vince il premio d'argento all'Art Directors Club of New York.

Nei suoi scatti David Stewart ricerca il bizzarro, il particolare strambo, l'originale in sé. Ci coinvolge in visioni trend, mix di surreale, ironico e umoristico. L'artista racconta i suoi personaggi: caratteri marcati, colori netti, pop e kitsch art piena. In primo piano spicca l'identità inglese. Il British style affiora in arredi di interni, entra nelle abitazioni, popola ambienti.
Londoners Doc prendono vita nei lineamenti dei soggetti.
David Stewart nella sua carriera fotografica ha lavorato, tra tanti, anche con The Clash e The Ramones

Il nostro itinerario nell'arte di “Gabbage” segue le tele che si snodano lungo la sala. Ci accorgiamo del via vai brulicante davanti a noi: estimatori d'arte e semplici turisti sbirciano, commentano incuriositi. Ecco il motivo del vociferare: gli spettatori stanno ammirando scatti di Sandy Skoglund.

Americana del Massachusetts, la Skoglund, dai primi scatti sperimentali, fino alle produzioni

più recenti, abbraccia l'arte surrealista, allestendo presso art dealers d'eccellenza come l'italiano Leo Castelli e la newyorkese Barbara Gladstone.

I suoi lavori si trovano in numerose collezioni di musei internazionali: Museum of Contemporary Photography di Chicago, San Francisco Museum of Modern Art e al Dayton Art Institute in Ohio.

In “Cabbage” la Skoglund apre le porte del suo mondo incantato. Ce ne svela i segreti.

 
Siamo accarezzati dal vento in “A Breeze at work”. Gustiamo le succulenze di “Nine Slices of Marblecake”. Brindiamo in “The Cocktail party”...

Sandy Skoglund ci conduce nei meandri della mente. Il reale sfuma nell'immaginario. L'inconscio entra nel quotidiano. Per gli spettatori scene di vita ordinaria s'alterano.  

Ci muoviamo tra uomini verdi seduti su tappeti di bicchieri in “Picnic on wine”, ci perdiamo in sentieri di foglie azzurre in “As Far as the Eye Can See”, strabuzziamo gli occhi davanti “Raining pop corn” in cui uomini, bianchi e di colore, volpi e alberi sono interamente ricoperti di pop corn...

Siamo catapultati in un mondo stile cartoon Disney...
 
Kitsch dei colori, esuberanza dei toni accesi, fantasy style: la Pop Art sconfina nel surreale. L'impressione è quella di momenti reali in mondi fantastici. La Skoglund inserisce la normalità in un paese delle meraviglie. L'artista svela il vero, in un contesto da sogno.  

Gli spettatori indicano tele, confabulano, sono stregati: traggono rimandi al proprio background. La vita dipinta dalla Skoglund scaturisce da concezioni, valori, credo dell'autrice. Poi s'intreccia col vissuto di ognuno.

Che c'è dietro l'arte della Skoglund? Definire le sue opere è un problema non da poco...

La produzione è mix di originalità e brio. L’artista s’esprime in un lavoro di manualità creativa.   La Skoglund modella resina: crea cibo, realizza animali, plasma persone. Ne nascono statue con l'anima, vive quasi. L’autrice rifinisce la sua arte: costruisce set, dà vita ad arredi multicolour, compone scene minuziose in un lavoro capillare che dura mesi.

Inserisce le statue negli scenari, prendono vita le installazioni. Piccoli capolavori, unici nel loro genere.
 

La Skoglund completa l'opera con un tocco d’eccellenza, aggiunge l'elemento che fa la differenza. Fotografa le scene a go go per scegliere lo scatto che ritrae al meglio la sua arte foto-scultorea. La tecnica della reality maker statunitense passa per la fotografia, unica arte, secondo lei, in grado di mostrare qualcosa accaduto davvero. 

La doppia fatica della Skoglund è appagata: se ciò che guardiamo è realmente esistito modifica, cambia la percezione che ne abbiamo. Il vero ci intriga.

In “Walking on Eggshells” ragazze nude s'apprestano alla toilette su un fragile pavimento di uova, tra cobra minacciosi e conigli inquietanti. Siamo incantati da “Raining pop corn”: qui una cascata di pop corn invade la scena, copre uomini e animali, si stende a mo' di manto di neve fresca...

Dagli scatti s'avverte l’esigenza etica del recupero della memoria: la Skoglund si distacca dalla cultura americana, riscopre tracce del passato per capire il presente.

Con “Walking on Eggshells” l'artista fa incursioni nell'immaginario egiziano: qui il serpente è simbolo di violenza, caos. Scopre che l'iconografia del coniglio pasquale americano trae origine dal paganesimo del Nord Europa in cui incarnava l'essenza del cambiamento. 

In “Raining pop corn” la Skoglund rende omaggio agli sterminati campi di granoturco della sua infanzia nell’Iowa. Qui l'artista indaga il senso storico-culturale associato al popcorn: i fiocchi di grano erano protagonisti nelle cerimonie degli Atzechi per creare collane e diademi; i nativi americani li offrivano come “snacks” nei negoziati di pace. Dal passato all'attualità il passo è breve. Con Raining pop corn la Skoglund critica l'industria alimentare americana, dice un fermo “no” ai cibi geneticamente modificati.

“Gabbage” continua. ll fil rouge delle tele si tinge di un leitmotiv animalista.

“Fox Games” ritrae volpi fulminee nel caos in un ristorante... In “Gathering Paradise” e “Squirrels at the drive-in” padroni della scena sono scoiattoli. Nel primo scatto gli animaletti blu invadono un tipico giardino americano rosa sgargiante, nel secondo squirrels dal fare umano sono spettatori in un drive-in.

La Skoglund riflette sul rapporto uomo-animali-natura. Gli attori sociali s'intrecciano divenendo tutt'uno. Per cogliere la condizione umana la sua arte passa per questo legame...

  
L'uomo vive di possesso. Esercita il suo dominio sulla natura, controlla l'universo animale, soffoca l'indole d'entrambi. Le istantanee della Skoglund denunciano una natura vessata dagli umani; la domanda è “si ribellerà”? Anche la condizione animale è un enigma: in "Fox Games" le volpi rosse rischiano la libertà intrappolate nella sale di un ristorante? Gli scoiattoli di "Squirrels" at the drive-in si riducono davanti ad un umano drive-in o a brulicare nei nostri cortili come in "Gathering Paradise"?

Gli scatti sono provocazioni “figurate” dell'artista: Sandy Skoglund lancia a suo modo l'S.O.S. per  la specie animale “a rischio d'estinzione”, il circle of life è in pericolo. 

Per la Skoglund il confine tra esseri umani e mondo animale è labile. Le due dimensioni sono ibride, l'una sconfina nell'altra. Mixate danno vita ad uno unico universo-natura.

L'uomo è animale tra altri animali, proietta l'irruenza della “sua” razza su quella animale, prostrandola. Per l'artista, di rimando, lo spirito animale riflette l'essenza umana, invade spazi propri dell'uomo, s'appropria della dimensione domestica. E risponde con altrettanto impeto. 

L'autrice riconosce carica eversiva nell’animale, esalta le sue potenzialità, accende l'istinto. Lo spirito animale quasi scavalca l'uomo. E' il paradosso che rovescia il potere.
 

L'itinerario di i-italy fra gli scorci onirici di “Cabbage” prosegue. Nel secondo padiglione ci attendono altri scatti della Skoglund.

L'universo stile "Alice in Wonderland" dell'artista s'interroga sui temi caldi dell'attualità. Lo fa con una formula tutta sua: l'alternativa. L'arte foto-scultorea della Skoglund apre a noi l'interpretazione delle opere. Ci offre varie chiavi di lettura. Il senso è quello che noi gli attribuiamo..

Ci imbattiamo in “Radioctactive Cats”: una colonia di gatti fluorescenti invade la cucina di un'anziana coppia. Felini, colpiti dai raggi, mutano il loro colore divendo verdi.

E' il tema delle radioazioni. I gatti subiscono radioattività ma non muoiono, cambiano nuance. Alterano la propria natura, ma sopravvivono. La Skoglund non si schiera “pro nucleare”, ne dà una doppia lettura. Per l'artista anche la più dolorosa delle human tragedy esala afflato vitale. Dal catastrofismo radioattivo può sgorgare vita.

Ecco la svolta: "Radioctactive Cats" è metafora di cambiamento, sfida per affrontare l'esistenza, rinascita del nuovo state of mind.

La chiave di salvezza è tutta lì.

Volgiamo lo sguardo più in là, ci fermiamo su “The cold war”. Altro tema caldo della Skoglund è la guerra. Nello scatto un soldato è assediato da minacciosi missili giocattolo rosso fiamma.

L'uomo combatte l'altro, spiana il fucile contro il mondo, manifesta la propria indole violenta. L'artista però inquadra il soldato in un'altra ottica: ha armi puntate addosso, è oggetto di mira, viene assediato. Ritorna la doppia morale. Secondo la Skuglond l'uomo scatena guerre ma ne è la prima vittima. Causa morte, ma è succube della propria spirale di violenza. L'Umanità che saprà riscattarsi dall'odio sarà davvero libera.

Meditiamo, sospiriamo... questi scatti costringono ad interrogarsi...

S'è radunata una piccola folla davanti a noi... Sbirciamo, incuriositi. Tra gli spettatori s'intravede “Revenge of the Goldfish”, tela simbolo della Skoglund...

Siamo rapiti dall'essenza multicolour di questo frame senza tempo. Con “Revenge of the Goldfish”: galleggiamo in una stanza da letto blu, aleggiamo in un vuoto rilassante, nuotiamo in una scena da sogno. La mente è ipnotizzata, sospesa tra aria e acqua con tanti pesci rossi...

Riconosciamo nella tela la copertina di “Venuto al mondo”, l'ultimo romanzo di Margaret Mazzantini.

L'opera vive di un'aurea a sé... L'ammiriamo. La Skoglund raggiunge l'apice del suo estro... Ci sentiamo parte di un manga vivente.

Per i critici il pezzo s'ispira all'universo omosessuale. Secondo alcuni riguarda la piaga del lavoro minorile. Altri ancora pensano all'infanzia violata con il dramma degli abusi sessuali, lo spettro della pedofilia.

Riflettiamo. Qual'è il senso vero dell'opera? I dubbi con la Skoglund si moltiplicano...

Anche in "Revenge of the Goldfish" reale e surreale co-esistono. Il fantasy dei pesci rossi sconfina, irrompe nel reality puerile. L'artista rileva la chimera dal reale. Eppure per la Skoglund queste immagini non sono sogni, elementi dell'assurdo, ma semplice...invadenza nella realtà. Provocazioni. Torna il tema della visione aperta a più interepretazioni.

L'artista suggerisce la cornice degli eventi. Ci permette di riflettere. Dà spunto ai nostri pensieri.
La Skoglund è mediatrice di realtà, non interprete. Costruisce mondi, ma non ne è protagonista. Siamo noi i veri interpreti della sua arte.

Intuiamo dinamiche. Sbirciamo frames di vita dal buco della serratura. Cogliamo realtà altre.

Lei accende il dubbio, a noi la risposta. 
 
Ci colpisce il valore dell'estetica ma ancor più la carica emotiva che ci offre questa reality maker della fotografia. Per la Skoglund: “Quando l’immagine esprime un significato multiplo, se non addirittura contraddittorio...sono più soddisfatta. All’inizio di un progetto costruisco di proposito un puzzle concettualmente attivo”.

L'arte surrealista vive proprio di questo...si alimenta dei nostri perchè...

La Skoglund si interroga anche sul concetto di "True Fiction": per lei non c'è separazione tra coscienza e inconscio, natura e cultura, follia e normalità. Le verità assolute che ci sforziamo di erigere si scompaginano. Le certezze rassicuranti si alterano fino ad annullarsi. Ci destabilizza.

Ed è proprio questo senso di spaesamento che la Skoglund vuol suscitare in noi.

La reality maker ad un mondo regolare accosta uno un po’ folle. Obiettivo? Stupire, scioccare, suggestionare. Sandy Skoglund ci spinge su un'altalena di senso e nonsense, tra humour e riflessione, in un equilibrio imperfetto, andirivieni di calma e caos...

In questo mondo c'è spazio per i dubbi, si aprono interrogativi, s'accende la critica.
Speriamo anche nel nostro. 

 “Cabbage” è un'esperienza in sé. Varcare soglie di universi immaginari in compagnia di 5.000 persone ha reso ancor meglio l'atmosfera melting pot dell'opening.

Ringraziamo la curatrice della mostra, Camilla Boemio, che qualche giorno dopo ci ha fatto incontrare via mail Sandy Skoglund. L'artista ci ha regalato altre curiosità rispondendo all'intervista di i-italy...

“Cabbage” è una collettiva in cui gli scatti ritraggono “composizioni” di scenari da sogno. Perchè fotografare installazioni? Skoglund, si sente più fotografa o “reality maker”?

 Io sono una reality maker. Il mio obiettivo è stupire gli spettatori, incantare i loro sensi, rapirne l'attenzione. Colpirli. Per farlo sfrutto il surreale: creo cibi bizzarri, animali ambigui, landscape equivoci. Così motivo l'audience a riflettere, ad interrogarsi su ciò che vede. La verità non è unic∑a, mai univoca...s'articola in sfaccettature, sfumature. Dobbiamo scrutare il celato, cogliere la realtà altra, quella che esiste oltre l'apparenza.

Nel Rinascimento, il grande Michelangelo dipinse la Cappella Sistina per svelare l'essenza di vita oltre il rivelato...

Perchè fotografo installazioni? Le rispondo con un'altra domanada... Guarda allo stesso modo sfondi artificiali e ri-creazioni di scene? I primi sono frutto di realtà-collage, piatte, inanimate. Le installazioni sono composizioni di vero, porzioni di realtà, parti di vita assemblate. L'esperienza della scena ci mette in ascolto. La nostra percezione cambia se ciò che scrutiamo è esistito davvero...

In “Cabbage” colpisce l'impatto visivo delle istantanee: scopriamo che cibo, persone, paesaggi sono attori sociali, interpreti di vita. Il surrealismo sconfina nell'American pop-art e nel kitsch? Il sogno ha la meglio sulla realtà?

 Forse l'estate di lavoro a Disneyland, in gioventù, mi ha influenzato più di quanto io ammetta...
 

 Per me pop e kitsch style sono reali. L'American culture è intrisa di kitsch. We live this way. Adoro questa tecnica. Per me è divenuta una filosofia di vita. Ma c'è un lato oscuro che incombe quando il kitsch fallisce, l'assolutismo di alcuni credo. Le grandi fedi monoteiste ci hanno allontanato dall'universo naturale, con le religioni abbiamo perso l'antico contatto col mondo animale. Oggi la scienza, l'ecologia, i nuovi orientamenti filosofici rivalutano gli animali. Vedono in essi entità coscienti. Gli attribuiscono un'anima simile a quella umana. La re-animation orienta la cultura odierna. 

Gli animali sono protagonisti nelle sue opere. Li definisce una “coscienza alternativa”: sono un alter-ego degli esseri umani?

Gli esseri umani si considerano la principale forma di coscienza in natura. Come se esistessimo solo noi...

Dalle mie foto-sculture traspare che lo spirito animale è in ognuno di noi. Nei momenti di stress l'indole pacata si altera, la ragione sbanda, ci giriamo al mondo con irruenza. Pulsioni e passioni s'intrecciano. L'istinto animale ha la meglio. L'uomo si carica di coscienza alternativa. E' energia  creativa con cui sfida il mondo. Libero da costrizioni, diventa animale umano.

In “Cabbage” la fantasia sconfina nel reale. Lei vive e lavora a New York. Realtà a tinte forti e ritmi frenetici della City condizionano la dimensione onirico-fantastica delle sue opere? I suoi scatti sono uno specchio della società statunitense?

 Certo, il mio lavoro riflette la società americana. Ne traspare il meglio e il peggio. Il nostro “modus vivendi”. "Radioctactive Cats" è ispirato al nucleare, "The cold war" prende spunto dalla guerra, in "Revenge of the Goldfish" m'interrogo sull'infanzia violata...Così partecipo alle dinamiche del mondo, racconto la vita nei miei scatti...

New York è caleidoscopica, eclettica e l'artista s'arricchisce, cresce del fascino multietnico. Ci sono aspetti della realtà di vita (o di sogno) newyorkesi da cui prende spunto per la sua arte? Cosa la ispira della Grande Mela?

 New York è frenesia d'attività, circuito d'emozioni, sentimenti in divenire. E' un flusso di alchimie artistiche. Poliedricità di scambi relazionali. Eppure il life style newyorkese è incline alla milting pot dimensione risponde alla filosofia del “being alone together”. Ognuno è nel proprio mondo, fermo sui propri obiettivi, ancorato alle mete. Questa è la forza della City: trasmette energia adrenalinica. Ognuno però l'incamera nel privato, per tradurla secondo la propria creatività. 
Questo state of mind alleggerisce il caos della City. Risolvo la frenesia di una megalopoli in corsa con l'ironia delle mie opere.

 

Lei ha esposto a Venezia, Milano, Torino, Modena, Brescia ed ora a Macerata. Cosa la lega all'Italia? Che differenze/somiglianze ci sono tra l'arte moderna italiana e quella americana?

Adoro l'arte italiana. E' il cuore pulsante della tradizione millenaria europea. Apprezzo anche la simbologia egizia e quella legata alla cultura celtica. Ma l'arte italiana è incipit della modernità. Universo creativo a sé. Ha generato, plasmato, ispirato l'arte successiva internazionale.
Non è possibile prescinderne, parte tutto da lì...
L'American style prende molto dal talento italiano...Ancora oggi gli artisti americani s'ispirano all'arte sempiterna. Del resto tra Colosseo, Pantheon, Circo Massimo a Roma, lo splendore di Firenze e l'incanto di Venezia...non potrebbe essere altrimenti.

Dal surrealismo del 2010 al Manierismo del Bronzino e Pontormo...Cosa la colpisce nella corrente artistica di questi pittori del XVI secolo che dichiara di preferire nella storia dell'arte?

 Amo la febbre emotiva del genio italiano. L'arte antica del BelPaese è pura catarsi. Il fuoco che produce è estasi e ardore dell'animo umano. Anche quando è povera si nutre di passione e umiltà.

Il Manierismo è un microcosmo nel macrocosmo. Fonde stile innovativo e meraviglia per l'estetica. Dell'arte italiana ho fatto mio il senso dell'instabilità culturale del Rinascimento e la distorsione delle figure che esprime ansietà della condizione umana. Sembra un rimando al presente: stress, incertezze, tensioni. Sono gli aspetti che affronto nei miei scatti...

Non si è fatta mancare collaborazioni interessanti come quella con “L'italiano che inventò l'arte in America”, il gallerista Leo Castelli...

Leo Castelli è stato principe indiscusso della Manhattan hip. Ha animato il panorama creativo a New York per tre decadi... Un autentico interprete di zeitgeist del presente. Castelli è stato un vero dealer leader: estimatore d'innovazione nell'intuire stili, anticipare tendenze e sperimentare “arie” del momento. Un vero punto fermo per me e gli altri artisti che gli ruotavano attorno: d'instinto fiutava capacità, ci dava fiducia, si spendeva per noi. Ci proiettava nel firmamento dell'arte come fosse la sua missione nel mondo... 

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