Articles by: Mila Tenaglia

  • Arte e Cultura

    Gotham Prize. L'ambiente che muta e si sedimenta

    Uomo, ambiente, interazione nel paesaggio contemporaneo. Questi i topoi che hanno richiamato l’attenzione giovedì 27 marzo all'opening dei vincitori del Gotham Prize. Tenutosi all'Istituto Italiano di Cultura, da diversi anni offre la possibilità ai giovani che lavorano nel campo dell'arte di realizzare una mostra di un mese a New York. 
     

    Una commissione internazionale ha selezionato come vincenti i lavori a olio del pittore modenese 19 Andrea Chiesi Paintings e Hometown. Mutonia il documentario del collettivo ZimmerFrei che ritrae con occhio molto personale la realtà del campo Mutoid di Santarcangelo di Romagna situato sulle rive del Marecchia.
     

    Il premio si è avvalso della collaborazione de la Fondazione NY, un’organizzazione dedicata alla promozione del talento e dell’eccellenza della cultura italiana.
     

    "Il premio è alla terza edizione, abbiamo fatto in modo di far coincidere l’apertura della mostra con il bando del 2015. Ogni anno abbiamo riscontrato un grande successo e lo sforzo che facciamo è di istituzionalizzare lo spazio espositivo che l’istituto lascia agli artisti interessati”, spiega Fabio Troisi, responsabile del dipartimento di arte, cinema, musica, danza e teatro dell’Istituto Italiano di cultura di New York.
     

    I due artisti in questione sono molto distanti fra loro per mezzi usati e rappresentazione, ma osservando i disegni su tela di Andrea Chiesi e il Hometown. Mutonia  un discorso comune lo si trova: la logica del rappresentare l’ambiente che muta e che si sedimenta nel territorio intorno a noi nell’era del XXI secolo. 

    Come nel caso del pittore modenese Andrea Chiesi che lavora da un punto di vista più figurativo "Mi interessa lavorare su un tipo di bilanciamento che oscilla tra una tecnica tradizionale, di abbozzo a matita e un approccio contemporaneo che prende spunto dall'influenza con il cinema, i fumetti e la fotografia".

    Hometown. Mutonia, il documentario realizzato da Massimo Carozzi, Anna de Manincore e Anna Rispoli, risponde invece a una riflessione di tipo concettuale, dove l’arte è uno stile di vita.

    "Cerchiamo di avere un tipo di sguardo che nn vuole essere quello del reportage che racconta il fatto di cronaca o che fa un'indagine di tipo sociologico. Noi documentiamo un tipo di ritratto molto personale".

    Entrando all’Istituto di Cultura Italiano le prime immagini che la vista cattura sono quelle di Andrea Chiesi. Per una frazione di secondo sembrano fotografie, poi ti rendi subito conto dell’eccezionale lavoro di labor limae che l’artista fa con l’olio. 

    Quindici quadri selezionati frutto di una lunga ricercata iniziata anni fa dal pittore modenese che rappresentano la ricerca sul paesaggio contemporaneo. In Italia, a Berlino e New York Andrea ha avuto modo di poter trascorrere molto tempo nelle zone limitrofe come la Berlino est e Coney Island e Red Hook  solo per citare alcuni quartieri.

    Le opere sono tutte rigorosamente in bianco, nero e grigio "Questi colori mi permettono di reinventare i luoghi reali in un mondo che è il mio. Il grigio rende quella luminescenza che dal punto di vista pittorico trovo piu’ interessante" mi racconta Andrea Chiesi.

    Un tessuto urbano di zone periferiche e marginali è l'universo rappresentato da Andrea, nel quale l'uomo è tagliato fuori ma sempre presente in qualche modo.

    "Parto da luoghi reali che vedo e che raccolgo in fotografia. Poi li reinvento in uno spazio mentale interiore attraverso la lentezza della pittura a olio".
     

    A New York non è la sua prima mostra, alle spalle ha differenti lavori, come nel 2004 la collettiva a cui ha partecipato alla Buia Gallery, curata da Gianluca Marziani. "All’estero è la città in cui torno di più per ragioni lavorative. Nel 2009 ho partecipato alla collettiva al Chelsea Museum per il Premio Terna. L'anno dopo invece ho fatto una personale alla Nora Haime Gallery. Insieme a Nora Haime ho continuato a lavorare alla fiera di arte contemporanea Pulse di Miami".

    "Mi interessa lavorare in modo lento per entrare  in questi luoghi e farli diventare miei soprattutto in opposizione alla velocità e al digitale. Più il tempo è rapido più la fermezza e la lentezza della pittura secondo me diventa affascinante oltre che importante". Conclude il Andrea Chiesi che mi introduce al piano di sopra a due dei tre componenti degli ZimmerFrei.

    ZimmerFrei è un collettivo artistico nato nel 2000, il gruppo è composto da Massimo Carozzi, Anna de Manincor e Anna Rispoli. Massimo e Anna mi raccontano che provengono da differenti ambiti quali cinema, teatro e danza e che negli ultimi dieci anni il loro lavoro nelle arti visive è confluito sempre più nel cinema. 

    "Siamo stati qui a New York per delle mostre, in particolare tra 2008 e 2009 per una residenza all'ISCP (The International Studio & Curatorial Program) per un premio italiano chiamato Pagine Bianche SEAT " dice Anna "Adesso non esiste più". Sorride.

    "Abbiamo lavorato molto con gli Istituti di Cultura Italiana in Europa perché il documentario Hometown. Mutonia fa parte di una serie che si chiama Temporary Cities".

    Questo ciclo di documentari  sono infatti  dedicati all'uso dello spazio pubblico o a modi particolari di abitare in situazioni temporane. Un film documentario sul campo fondato dalla Mutoid Waste Company a Santarcangelo nel 1990, realizzato con la partecipazione dei suoi abitanti.

    Gli ZimmerFrei si sono concentrati su piccole aree metropolitane di Copenhagen, Budapest, Bruxelles e Marsiglia, che è stata l'anno scorso la capitale della cultura. 

    Hometown. Mutonia è l'unico della serie girato in Italia e racconta della vita all'interno di questo "villaggio dentro un villaggio" che vuole rimanere temporaneo anche se per le persone che ci abitano è diventato luogo di origine o una sorta di casa madre. Racconto del tipo di rapporto che si sedimenta sul terreno. "Mutonia è una città temporanea in corso di trasformazione in relazione a un contesto urbano, rurale, sociale e vitale più grande".

    Anna, Massimo e Anna danno così voce a una realtà alternativa, dove le persone si costruiscono con le proprie mani la casa, trasformano rottami, materiali di scarto e oggetti in disuso in opere d'arte, si reinventano.

    Le immagini sono nitide e piene di luce, i sorrisi spontanei e la musica travolge e accompagna questa introduzione a un mondo di oggetti, sculture e "mostri" di metallo, la nuova generazione del cyberpunk . Prima di andarmene mi regalano il loro volume, inusuale ma molto gradito: un vinile, su cui ci sono delle tracce che sono suoni registrati in determinati luoghi. Sul vinile leggo le coordinate geografiche, mi spiegano che se le metti su google maps troverai il luogo dove sono state prodotte. 

  • Arte e Cultura

    "Crime and Redemption Theatre". Riscattarsi recitando

    In Toscana, terra di borghi medievali, chiese e suggestive abbazie, nel carcere di Volterra c’è una realtà affermata e apprezzata a livello internazionale conosciuta come la Compagnia della Fortezza. Un progetto di laboratorio teatrale nato nell'agosto del 1988, a cura di Carte Blanche sotto la direzione di Armando Punzo, drammaturgo e regista teatrale italiano.

    È proprio in questo penitenziario situato su un complesso medievale e rinascimentale di grande fascino immerso nel verde dove “spacciatori, assassini e mafiosi non sono più soltanto carcerati, ma diventano preti, travestiti e dame. Imparano a recitare, ma anche a leggere, a lavorare insieme, ad affrontare il difficile reinserimento in società. E soprattutto, la recitazione dà loro uno scopo, un nuovo ruolo nella vita, oltre che sul palcoscenico”. Ci racconta la fotografa Clara Vannucci.

    Il 21 Febbraio all’Istituto di cultura di New York si apre la sua mostra  intitolata “Crime & Redemption Theatre” .

    La curarice, Veronica Santi, ci spiega come “Tutti i progetti che realizzo sono molto diversi tra loro, ma mantengono un forte legame con l'Italia.

    Inoltre sto rimettendo in piedi una piccola galleria a Chelsea per soli artisti italiani emergenti, Spazio 522, dove l'anno scorso ho curato un ciclo di mostre per le celebrazioni dell'anno Italiano della Cultura negli Stati Uniti. Infine sto lavorando con l'associazione newyorkese ArtBridge alla realizzazione di un bellissimo progetto di arte pubblica per la ricostruzione dell'Aquila: un progetto molto difficile ma anche molto stimolante... e anche molto necessario”.

    “Io e Clara, entrambe toscane, ci siamo incontrate per la prima volta grazie un'amica in comune in un bar al neon di Times Square e lì si è accesa la scintilla. Non so da quale dimensione sia arrivata Clara, a me è sembrata un'extraterrestre: ha questo modo privo di aggettivi e apparentemente distaccato di raccontarti i contesti terribili in cui opera, tipico della fotografia di indagine; poi però le sue immagini hanno un gusto sofisticato che ti seduce e ti toglie di dosso quei sentimenti di reazione quali la compassione, il buonismo o il senso di colpa.

    In "Crime & Redemption Theatre" questo è evidente, anche se, in realtà, il progetto che io e Clara volevamo portare a New York era quello sulle donne di Rikers Island Jail.” prosegue Veronica.

    Attraverso il filtro della macchina fotografica usato come strumento di indagine esistenziale, Clara Vannucci  racconta l'esperienza di “Crime e Redemption” .

    Ovvero come la recitazione, i costumi e la musica possano far riscattare moralmente e fisicamente i detenuti del carcere.

    Quando hai cominciato ad avvicinarti alla fotografia?
    Ho sempre scattato foto, sin da quando ero molto piccola. Ma la vera passione è nata a 17 anni durante il mio primo viaggio in Etiopia, dove ho iniziato ad usare una vecchia Pentax Asahi di famiglia, con pellicola rigorosamente in bianco e nero. Al momento della stampa in una camera oscura arrangiata in cantina, ho visto nascere l’immagine. La fotografia. È stata una sensazione straordinaria. Pura magia.

    "Crime & Redemption Theatre": Come e' nata l'idea di documentare l'uso terapeutico del teatro sui detenuti del carcere di Volterra?
    Ho iniziato il progetto sul teatro in carcere nel 2007 quando lavoravo come fotografa con un gruppo di video makers a un documentario sulle 13 diverse realtà di teatro in carcere in Toscana. Lì sono entrata per la prima volta in contatto con la Compagnia della Fortezza che mi ha colpito subito rispetto alle altre. Nel metodo e soprattutto nello scopo c’era qualcosa di diverso. Tutto questo mi ha colpito molto e spinto a tornare ogni anno a documentare l’evoluzione dei detenuti-attori.      

    Grazie a questo progetto nel penitenziario di Volterra i carcerati si svestono dalle loro anonime uniformi per diventare preti, dame o nobili francesi.

    Abbandonano la quotidianita' per recitare opere di Shakespeare o Lewiss Carrol.

    Tramite le tue foto credi di aver restituito una sorta di riscatto liberatorio da queste persone?
    Penso che i detenuti attori siano riusciti a riscattarsi a prescindere dalle mie fotografie. Io ho cercato, tramite le immagini, di mostrare un tipo di carcere fuori dal comune, di portarlo come esempio, di farlo conoscere, di raccontare un’esperienza che fa della cultura una sfida, concreta, di trasformazione. Ma, profondamente, solo loro sentono se questa esperienza li ha cambiati o riscattati nella società. Dall’ esterno, sembrerebbe di si.

    Come e' stata la loro reazione all'idea di recitare?
    Può capitare che all’inizio i detenuti siano titubanti nel mettersi in gioco, nel vestirsi da donna o da diavoli, ma poi si lasciano solitamente coinvolgere dall’entusiasmo della recitazione e dalla gloria del palcoscenico. L’emozione nel vedere un teatro o il carcere sempre pieno ad applaudire il loro spettacolo, regala agli attori il miglior riscatto. L’uscire, anche se solo per un momento, dalla loro realtà diventa straordinario. Inoltre il regista Armando Ponzo lascia loro la libertà di esprimersi e di improvvisare, di studiare e creare il proprio personaggio. I detenuti possono scegliere se far parte della Compagnia o meno, e ogni anno il numero degli attori aumenta vertiginosamente.

    Hai stretto amiciza con qualche detenuto? Mi puoi raccontare qualcosa di loro?

    Conosco alcuni detenuti ormai da molti anni. Spesso restano fino alla fine della pena, a volte vengono trasferiti in altre prigioni a finire la loro condanna. Come ragazza all’inizio ero un po’ intimorita, poi negli anni ho smesso di stupirmi del rispetto che hanno nei miei confronti. Parlando poi con loro ho sentito storie ed esperienze diverse, molte legate al teatro più che alle loro carriere criminose. Ciò che a me interessava era il loro rapporto con questa nuova vita, non tanto il loro passato. Ho legato con alcuni in particolare. Ad esempio Jamel (il diavolo nella foto),  detenuto tunisino, che, uscito di galera dopo 15 anni, ha preso casa a Volterra, e ha continuato ad andare in carcere ogni giorno per recitare. Ha scelto il carcere pur essendo libero, fino a quando è stato rimandato contro il suo volere in Tunisia. Sono rimasta molto legata a lui e cerchiamo di rimanere sempre in contatto. Ogni anno che torno in carcere sono felice di rincontrare o conoscere gli attori detenuti, di sentire le loro storie e di raccontargli le mie.

    Credo che la diversita' culturale sia alla base dei tuoi lavori: testimoniare storie di persone che hanno un passato particolare o stanno vivendo una condizione precaria a livello politico, culturale, sociologico. Ho letto che a NY hai scattato foto alla Rikers Island Jail. Mi racconti di questa esperienza?

    L’esperienza del teatro in carcere e l’essere stata a lungo l’ assistente della fotogiornalista Donna Ferrato, mi hanno aperto le porte del carcere di Rikers Island, dove ho fotografato per oltre due anni la sezione di donne che hanno commesso crimini di conseguenza alle violenze che hanno subito. Rikers è il più grande, e probabilmente più famoso carcere negli Stati Uniti.
    Ho subito imparato che molte donne non vedevano I loro volti da anni perchè non possono utilizzare specchi, considerati una potenziale arma, all’interno dell’ istituto. Quando ho infatti mostrato loro gli scatti fatti le volte precedenti, ho capito quanto un’immagine potesse suscitare emozioni di ogni tipo. Ho avuto la sensazione tramite l’obiettivo, di offrire loro uno specchio. Non potendo dare alle detenute le foto di loro stesse, poiché potrebbero essere utilizzate per creare documenti falsi, ho deciso di portarle direttamente ai familiari. Nessuno ha avuto la possibilità di fotografare questa sezione fino ad ora, per questo ho sentito un profondo senso di onore e responsabilità. 
     

    Progetti futuri?
    Negli ultimi anni mi sono particolarmente focalizzata sul sistema giudiziario e criminale cercando punti di vista differenti per raccontarlo. Da qui l’ interesse per il mio ultimo progetto, di cui uscirà a breve un libro prodotto da FABRICA: un viaggio nel sistema delle cauzioni americano, un taboo per noi europei, ma di cui abbiamo sempre sentito parlare e quindi parte della nostra cultura. Bail Bond è un racconto visivo ambientato nella New York contemporanea. Intrecciando storie di Bondsmen (garanti), Defendants (imputati) e Bounty hunters (cacciatori di taglie) il reportage illumina una zona inesplorata della legge americana. Un luogo dove crimine e sicurezza si incontrano e si amalgamano.

  • Arte e Cultura

    New York e la parabola del Futurismo in due mostre

    Si è da poco concluso l’anno della cultura italiana negli Stati Uniti ma anche il 2014 , naturalmente, continua all’insegna dell’arte. Due mostre importanti a New York inaugurano la stagione con l'arte italiana accreditata di oltre il 40% del patrimonio mondiale.

    C’è molto ancora da comprendere, scoprire e da mostrare e l'anno della cultura per gli amanti dell'Italia non finisce mai.

    lL 21 Febbraio il Guggenheim Museum, tempio dell’arte  contemporanea, apre i battenti alla più grande exhibition sull’arte futurista: “Italian Futurism 1909 – 1944: Reconstructing the Universe”.

    Per la prima volta negli Stati Uniti uno sguardo a 360 gradi su tutto il panorama del movimento artistico fondato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909. Una selezione di 300 opere che resteranno visibili per sette mesi.

    Tra gli artisti di spicco si annoverano Fortunato Depero, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, ma anche un’accurata documentazione artistica che testimonia il rinnovamento a vasto raggio che operarono i Futuristi in Italia.

    Un percorso multidisciplinare che mostrerà nelle sale del museo la nascita, i nodi cruciali e l’eclissarsi del  Futurismo sul finire della seconda guerra mondiale.

    «La mostra comprende ceramiche, fotografia, design, mobili, architettura, film teatro, performance e un accenno importante alle serate. Perché sono queste cose che rendono il Futurismo  un’avanguardia veramente diversa rispetto ad altre avanguardie storiche» ha commentato la curatrice Vivien M. Greene, studiosa delle avanguardie europee che qualche anno fa presentò nel Guggenheim l’enigmatico quadro “Materia”, di Umberto Boccioni.

    Alla scoperta di una avanguardia italiana, il Futurismo, che ha interpretato e segnato la nostra storia politica sociale e architettonica. Crediamo proprio che l’Evento sia straordinariamente importante proprio perché da non molto tempo si interpreta con  maggiore consapevolezza e meno faziosità il periodo storico di riferimento.

    Oltre quest’esposizione dedicata al Futurismo altro fondamentale evento dell’anno sarà l’apertura del CIMA, protagonista assoluto il designer futurista Fortunato Depero. Forme geometriche intessute di spigoli, bianco e nero ma anche mix di colori brillanti hanno fatto di lui il pionere del graphic design.

    Il 22 Febbraio apre, infatti, tra le strade di Soho il primo Centro di Cultura d’Arte Moderna Italiana, la cui missione è, anche, promuovere l’arte futurista Italiana.

    La Fondazione occuperà il quarto piano di una palazzina su Broom Street e sembra centrare la giusta atmosfera, del resto l’Iron District era una zona di industrie tessili, circondata da grandi magazzini, dalle strutture in ferro che custodivano stoffe e altri prodotti manifatturieri. Il processo di cambiamento economico e sociale di SoHo, iniziato negli anni ’20, quando i magazzini cominciarono ad essere trasformati in grandi loft spianò il quartiere nel diventare una zona di artisti, musicisti e gallerie.

    Proprio in quelle strade nel 1928 Fortunato Depero si trasferì. Nella grande mela conobbe e visse il centro propulsore di una New York che sarebbe presto cresciuta come città d’arte, che è accomunata al futurismo proprio per questa dinamicità, per la sua velocità.

    Depero avrà sempre un legame  fortissimo con questa città, la possibilità di esplorare orizzonti diversi e di mettersi in gioco in un periodo storico culturale che va dagli anni ’20 ai ’30 e  lavorare nel campo pubblicitario per riviste del calibro di Vogue o Vanity Fair.

    Una delle figure di maggiore rilievo del secolo scorso che ha saputo proporre una visione dell’arte totale: sfidando le convenzioni tramite un processo creativo che lo ha portato a spaziare dal teatro alla pubblicità, dal design all’artigianato attraverso la sperimentazione di differenti tecniche.

    Circa 50 le opere provenienti dalla collezione di Gianni Mattioli, grande collezionista di arte futurista, che ha anche dato in prestito al Guggheineim alcune opere di Fortunato Depero; la figlia, Laura Mattioli, è la curatrice e direttrice insieme al Heather Ewing, Executive Director.

    Quest’ultima ha raccontato ad i-Italy come il CIMA nasca  “Dalla consapevolezza di alcuni studiosi e mia personale che l’arte italiana del XX secolo è poco e mal conosciuta all’estero. Noi siamo il paese del Rinascimento, di Venezia, Firenze e Roma. Si vorrebbe conseguire e diffondere una maggiore chiarezza storica sul ruolo degli artisti italiani nella definizione e affermazione del modernismo e del linguaggio artistico contemporaneo, una rivalutazione del ruolo storico ad esempio del Futurismo, della Metafisica o dell’Arte Povera”.

    E adesso tra dipinti, sculture e approfondimenti sull’artista si inaugura la prima tappa del CIMA. Autentico meeting point dell’arte italiana nella Grande Mela.

    “La scelta di Fortunato Depero come primo artista da studiare e da proporre all’attenzione internazionale è certamente legata alla mostra del Guggenheim, con la quale si è voluto creare una sinergia. La mostra curata da Vivien Greene ripercorre per la prima volta negli USA tutta la parabola del movimento futurista, nella complessità del suo trentennale percorso”, prosegue Laura Mattioli.

  • Art & Culture

    Art Basel Miami Beach: the “Made in Italy” Seduces

    From December 5th to December 8th, the capital city of Florida hosted the 12th Edition of Art Basel Miami Beach. Once again the fair confirms itself as one of the most awaited events amongst art lovers, collectors, critics but also among those who were participating for the first time. Indeed, a great space was reserved to young emergent talents and to Street Art.

    Miami, with its amazing climate, and recognized meeting point as well as an important international cultural junction, embraced the world of the arts, which actually is a melting pot of manifestations linked together.  

    The art Fair became through the years a very good display for Italian Design. Cappellini, Kartell, Molteni & C, Calligaris are only some of the Made in Italy brands that have achieved resounding success. But also the unavoidable presence of Fiat Group, which was there with Maserati, whose cars are the dream of entire generations all over the world. Also Lavazza, with its very original stands, was there with its Gold Line of Italian Coffee, a landmark of the sector.    
    Among the multitude of galleries selected this year, the Italian ones were 11. Just to mention some of them, there were: Alfonso Artiaco, historical Neapolitan gallerist, with works by masters of the lowly, conceptual and minimalist American art; Lia Rumma, another historical gallery with headquarters in both Naples and Milan that has a roster of outstanding artists (Marina Abramovic, Vanessa Beecroft, Alberto Burri, Enrico Castellani, Gino De Dominicis, William Kentridge, Joseph Kosuth, Thomas Ruff, Ettore Spalletti and many others).

    But this is not all. You just have to move a few kilometers from the South Beach island to find yourself in a completely different scenario, suitable for all: the Wynwood District. Walking around this neighborhood in the heart of Miami is a unique experience: artists from all over the world painting gigantic walls and even using cranes in order to paint them with brushes and colors and shades of any kind. The other side of the show are the exhibitors who admire and get to know Miami and its warmth.

    Everyone shows their own culture and ideas, bringing a piece from their country or a homage. Just think of Nelson Mandela, the President of South Africa and Nobel Prize winner who died on Thursday December 5th, which was the opening day of Art Basel. Indeed, there were murals dedicated to this man, who left an indelible mark within politics and within the popular American culture, especially because of his battles for the rights and the liberation of his people. From morning to evening this forge of new styles and cultural junctions were mixed between private collections, artists’ studies, galleries, show rooms and boutiques, staying opened until late in the blocks between NW 20 and NW 36th Street.

    One of the artists that I had the chance to interview was Federico Massa AKA Cruz, an artist from Milan who has been living in New York for several years. Set designer and Mural artist, he was sent to Miami by two organizations of the Big Apple to bring and project his artistic vision on the walls of Miami.

    He tells his personal growth. “I was tired of the static situation I was experiencing in my city, I was trying to find my own path. I did exhibitions in Milan and in Europe in general. After a while I felt I was ready for a different international feedback. At least I had to try.”

    Always having been interested in the international context and in the art of New York, he was able to express and create a non indifferent space that brought him to realize last summer a wall of epic dimensions in the heart of Williamsburg.    

    “This spring, for example, I created an installation inside a container for the launch of the new bottle of Heineken at the Brooklyn Naviyard of New York. They selected five artists for each borough and I represented BK. I was the only Italian so it was a great satisfaction for me.”

    Fede Cruz with his art brings back an image of a society under the appearance of animals using bright colors inspired by Mexican culture. “Besides the fact that Street Art has a larger market in New York, here it is considered a real form of contemporary art and in my opinion, the difference between Italy and New York lies in the meritocracy. There are opportunities and if you demonstrate that you are valid in what you do people will give you credit. This is New York.”

    Il Centre-fuge Public Art Project, a project of urban art in the Lower East Side, invited him to paint a wall at Little Havana, a historical neighborhood near Wynwood: from sprays to paint brushes, Fede Cruz gives to the wall, previously gray, a strong symbolic meaning: a whale eats a squid on a background representing a “bombing” of darts, also with a revisited representation of the logo of a big oil company, while one of his characters puts fuel on the squid. This is a recall of one of the most severe environmental disasters that happened in the Gulf of Mexico.   

    The second wall, before going back to New York, was sponsored by the New York Street Gallery, a little reality recently born in Brooklyn. The project, created by Dariel Martinez and the Italian video maker Daniela Croci AKA Zoe, have just evolved within a gallery with the objective of promoting and giving exposure to artists and musicians.  

    Two big eyes, as if they were embroidered by Federico Cruz, painted using sprays and brushes on a big canvas, look at you and they have a jaunty gaze, that makes you smile, that enchant you. The colors used are very bright and perfectly mixed up with the limpid sky of the warm winter of Miami.

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