Articles by: Roberta Michelino

  • Fatti e Storie

    Natale in Consolato. Proprio come in Italia

    Si respirava aria natalizia domenica 8 dicembre  al Consolato Italiano a New York. Non mancava niente: il presepe, l’albero di Natale, gli zampognari, pandoro e panettone,  il cioccolato caldo. Anche la neve ha deciso di scendere per contribuire a dare un’ atmosfera magica ed ovattata.

    Il Console Generale Natalia Quintavalle e la vice-console Lucia Pasqualini, nel giorno in cui di solito in Italia si preparano albero di Natale e Presepe, hanno pensato proprio a tutto per ricordare la tradizione italiana. Coincidenza ha voluto che  quella fosse la prima sera in cui si accendevano le luminarie lungo Park Avenue.
     

    Il presepe esposto nel garage del Consolato, suggestiva e soprendente location per questo evento, ha incantato gli ospiti piccoli e grandi attenti ad osservere le statuette cosí minuziosamente lavorate e dipinte a mano.

    L’attenzione delle persone si focalizzava soprattutto nei dettagli delle mani, del volto, delle rifiniture dei vestiti, sugli oggetti di quotidiano così sempre felicemente raccontati nel presepio napoletano.

    Lungo la strada  San Gregorio Armeno a Napoli,  presepi come quello della mostra del Consolato, sono esposti tutto l’anno.
    Lí nel cuore della citta' partenopea sembra che il tempo si sia fermato per lasciare spazio alla creativitá ed alla bravura degli artigiani napoletani. Piccole botteghe, variopinte bancarelle ed accurato lavoro artigianale rendono questo posto unico al mondo e meta di molti turisti. Negli anni, a testimoniare la vicinanza del presepio napoletano con la gente, le statuette del presepe rappresentano personaggi di oggi. Da Obama a Maradona, da Madonna a Renzi.

    “Non é stato facile l’allestimento di un presepe del genere.” ha confessato  il Console Generale Natalia Quintavalle.

    “Mi sono messa in contatto con Casa Belvedere che mi ha inviato le fotografie di come era allestito lí in passato. Grazie anche ad alcune persone del Consolato che avevano a loro tempo giá preparato una mostra di presepi, siamo riusciti ad assemblarlo."

    "Quando l’ho visto per la prima volta l’anno scorso esposto  mi sono resa conto che non tutti conoscevano la tradizione dei pastori di San Gregorio Armeno. Per questo ho pensato che c’era bisogno di far sapere che non sono prodotti industriali o semplicemente simboli religiosi, ma un’espressione forte della creativitá di un artigianato prevalentemente napoletano. Anche questa mostra fa parte dell’anno della cultura italiana.”

    La storia del presepio è molto significativa.  Chiamato "Presepio della Solidarietà" perchè  donato poco dopo l'attentato alle Torri Gemelle dalla Camera di Commercio di Napoli
    alla chiesa di St. Michael a West 34th Street, viene considerato il simbolo del sostegno morale del popolo napoletano ai cittadini americani.

    Un dono per non dimenticare le vittime morte nella tragedia dell’11 Settembre e per imprimere nelle menti di tutti il coraggio dei pompieri e degli addetti al pronto soccorso che hanno sacrificato la loro vita per salvare innocenti.

    Il presepio realizzato da  Giovanni Sinno, Ulderigo Pinfildi, Alfredo Molli,  e' stato per un lungo periodo lugo di visita ma purtroppo,  terminata la suggestione legata all'11 settembre, viene dimenticato e subisce dei danni per incuria.

    Nel 2006 viene restaurato grazie il capo del Fdny Daniel Nigro e a Vincent Tummino per essere  esposto nel Jersey per un periodo e successivamente ospitato presso Casa Belvedere a Staten Island.

    Gli artigiani campani usano le stesse tecniche del  XVII secolo. In questo presepe di New York, però, si scorge una particolarità', in mano ai Re Magi  ci sono gli elmetti dei pompieri di New York con i numeri 01, 9 e 11.

    Sono intervenuti in Consolato  Daniel Nigro, il Capo del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, William Seelig, Commissario del Dipartimento dei Vigili del Fuoco e Keith Tanico, Presidente del Dipartimento dei Vigili del Fuoco dell’Associazione Columbia.

    A vedere  83 personaggi e 28 animali, ma anche tantissimi oggetti come suppellettili, insaccati e frutta, moltissimi ospiti e volti noti. Tra questi  il nunzio apostolico presso l'Onu arcivescovo Francis Chullikatt, l'ambasciatore presso l'ONU Sebastiano Cardi, e i direttori Pier Paolo Celeste  di Ice e Eugenio Magnani di ENI.

    “Siamo davvero onorati di ricevere questo simbolo dell’amicizia dai nostri fratelli e sorelle italiani per la commemorazione della strage delle Torri Gemelle” ha affermato Daniel Nigro,  "Questo dimostra una grande legame con la cittá di Napoli. Ci sono molti pompieri americani che hanno origini italiane, questo fattore implica un’ulteriore correlazione con l’Italia. E' un emozione grandissima vederlo esposto anche qui”.  

    "E' importante mantenere contatti e rivivere le tradizioni italiane facendole diventare proprie" ha continuato Keith Tanico " dopo la tragedia dell'undici settembre ci siamo tutti sentiti piu' vicini ed abbiamo coltivato amicizie con molte citta' italiane come Venezia, Roma, Napoli, Palermo e Milano"

    Gli zampognari, uno di loro venuto apposta da Filadelfia, hanno accompagnato il pomeriggio con il tipico strumento a fiato, la zampogna. Domenico Porco, ha raccontato alla nostra redazione che prima di scoprire questa passione per la musica popolare tradizionale era un musicista jazz. Ma dopo aver ascoltato canti e musiche popolari durante un faló, ha deciso di convertirsi alle sonoritá tradizionali.

    Grazie agli zampognari la sede del Consolato a Park Avenue è diventata  una vera casa italiana natalizia. In questi giorni infatti nel Bel Paese si cominciano a sentire per le strade di molte città le classiche melodie festive suonate da questi strumenti tradizionali. 

    E può capitare di sentir suonare il campanello della propria abitazione e trovarseli davanti, davanti alla porta pronti con la loro musica.

      

  • Fatti e Storie

    Saccomanni a New York: segnali di ripresa dell’euro

     Si è conclusa la missione istituzionale del Ministro dell’Economia e delle Finanze Saccomanni in America, il cui obiettivo è stato quello di informare la comunità economico-finanziaria americana dei punti di forza dell'economia italiana.

    Dal 2 al 4 Dicembre Saccomanni si è interfacciato con il Segretario al Tesoro Jacob Lew, con il presidente uscente della FED Ben Bernanke e con quello entrante Janet Yellen. A New York ha tenuto una conferenza con il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon e con i maggiori responsabili dei fondi  d’investimento. Gli argomenti che hanno avuto maggior rilevanza durante la conferenza stampa sono stati le misure contro le evasioni fiscali pregresse, contro il debito pubblico e contro i capitali illegalmente spostati dall’Italia all’estero.

    Saccomanni ha inoltre posto l’accento sulla privatizzazione nell’ambito della gestione del patrimonio immobiliare, soffermandosi su quanto siano molto più snelle le procedure di vendita in America rispetto all’Italia.

    “E’ necessario un dialogo con gli operatori finanziari americani per riuscire a sbloccare le pratiche della cessione e della valorizzazione dell’immobiliare. In America ci sono gli investitori che sono in grado di trovare capitale necessario per fare investimenti” sostiene il Ministro.

    Un altro aspetto sottoposto all’attenzione dei presenti è stato quello di sottoporre ad operatori appositamente scelti la questione dei crediti in sofferenza ed incagliati.

    “La ricchezza del mercato americano ha fatto sì che esista un segmento che si occupi solo di questo ambito atto a gestire questa problematica” continua il ministro che ha espresso opinione favorevole per quel che riguarda un maggiore spazio di apertura per iniziative del settore privato mirate al rilancio bancario.

    Per questo settore sono assicurate importanti strategie di controllo. Secondo Saccomanni i fondi privati consentirebbero un miglioramento del bilancio bancario e regalerebbero nuovi crediti all’economia italiana.

    Altra tematica sottoposta all’attenzione del ministro è la disoccupazione giovanile. Dal rapporto di Ginevra emerge che questa è una problematica globale, perchè riguarda sia gli Stati Uniti sia l’Europa. Durante la conferenza stampa è emerso che la piaga della disoccupazione non può essere arginata creando posti di lavoro precari ed a tempo determinato. E’ di vitale importanza prendere seri provvedimenti finanziari e giuridici per permettere alle nuove generazioni di costruirsi un futuro dignitoso.  Saccomanni sostiene che in un mondo con un’economia globalizzata debbano essere prese in considerazioni misure globali e non solo quelle nazionali.

    Un ulteriore aspetto negativo evidenziato durante la conferenza è quello concernente lo spostamento del capitale all’estero. Uno dei motivi per cui non si riesce prontamente a fronteggiare la questione è da attribuire alla lentezza giudiziaria italiana. Il ministro ha ricordato che, pur non essendo di competenza del ministro dell’Economia, il punto è stato sottoposto all’attenzione del Governo con estrema priorità. A tal proposito, infatti, il Ministero di Giustizia si è attivato nell’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc, mentre quello della Finanza e dell’Economia si è concentrato per garantire maggiore certezza nella fiscalità.

  • Arte e Cultura

    Nuoro Jazz incanta New York

    Erroneamente si è soliti pensare che il jazz, quello vero, autentico ed inimitabile si annidi e cresca in un panorama americano. Ma basta citare qualche celebre nome come Enrico Rava, Stefano Bollani, Paolo Fresu e molti altri, per comprendere che vere e proprie eccellenze popolano anche il mondo artistico jazzistico italiano.

    L'Ente Musicale di Nuoro, tempio della musica jazz in Italia, offre la possibilità a chi possiede doti ed attitudini musicali di diventare musicisti di talento. Nato nel 1987 per iniziativa della cantante nuorese Antonietta Chironi per scopi didattici, l’Ente Musicale di Nuoro vanta di avere come direttore artistico il celebre trombettista Paolo Fresu e qualificati insegnanti

    Il gruppo Domo De Nibe si è formato grazie alla penultima edizione del Seminario Nuoro Jazz Festival ed è composto da sei giovani musicisti che pur provenendo dallo stesso seminario di musica jazz, hanno background diversi.

    L’obiettivo è proprio quello di liberare la musica dai confini imposti dai generi e lasciare spazio a nuove sonorità e creatività.

    La band è formata da Alessandro Pardi (voce e pianoforte), Giaime Mannias (flauto e percussioni), Davide Guiso (flicorno e tromba), Alain Pattitoni (chitarra), Christian Pepe (basso) e Giovanni Angelini (batteria).

    Grazie al collettivo BYO  (Bridge Your Own), i Domo de Nibe hanno avuto la possibilità di esprimersi nella città di New York, luogo in cui si respira e si vive la musica jazz, creando una fusione tra la tradizione jazzistica americana e quella europea.

    La redazione di i-Italy ha intervistato il Presidente dell’Ente Musicale di Nuoro Angelo Palmas e con il musicista Alessandro Pardi che ha dato voce a tutti i membri del gruppo.


    Qual’è l’obiettivo dell'Ente Musicale di Nuoro?

    Angelo Palmas: Lo scopo era quello di abbinare alla neonata Scuola Civica di Musica, la seconda in Italia dopo Milano, in una cittadina che non aveva  e non ha un Conservatorio. Da allora sono stati organizzati più di 1500 concerti e manifestazioni.


    Com'è nata la collaborazione artistica con Paolo Fresu?

    Angelo Palmas: La collaborazione con Paolo Fresu comincia sin dal primo anno di vita dell’Ente, quando fu invitato per un concerto con un suo gruppo. Alla richiesta di un nuovo concerto, Paolo propose un seminario da tenere insieme agli altri componenti del suo quintetto. L’idea era quella di riproporre lo schema dei seminari di Siena, allora unica realtà di quel genere in Italia, in un momento in cui il jazz era praticamente bandito dai conservatori italiani ed in Sardegna nasceva una importante tradizione di festival jazz, ma non esisteva alcuna possibilità di studiarlo. ''


    E' difficile oggi fare jazz in Italia? Come sono aiutati i giovani musicisti dall'Ente Musicale?

    Angelo Palmas: Sono sicuramente molto più numerose del passato le possibilità di avvicinarsi al jazz in Italia. Basti pensare che il jazz è finalmente presente a pieno titolo in tutti i conservatori italiani e che nel nostro paese si tengono numerosi e prestigiosi festival. Difficile è vivere di jazz. Molti e validissimi musicisti ma poche possibilità di esibirsi e di ricevere cachet dignitosi, ad eccezione dei pochi artisti al top. L’Ente Musicale di Nuoro con i seminari Nuoro Jazz assegna ogni anno una borsa di studio ai migliori studenti che formano un gruppo che l’anno successivo si esibiranno al Festival Time in Jazz di Berchidda diretto da Paolo Fresu, ed ad altri festival dove verranno incisi CD prodotti dall’Ente Musicale. Nuoro è diventato un importante trampolino di lancio per molti giovani jazzisti. Cito fra i tanti Fulvio Sigurtà che vive  e lavora a Londra, giovane Jazzista nel 2010 per la rivista Musica Jazz e Simona Premazzi brillante pianista, da anni attiva a New York.

     
    Come nasce la collaborazione con il collettivo BYO?

    Angelo Palmas: La collaborazione con il collettivo BYO nasce ai tavoli dell’Epistrophy Café a Manhattan, poco più di un anno fa. In occasione di un viaggio di lavoro cerco e incontro Luca Fadda e Silvana Porcu, ex allievi di Nuoro Jazz, e due degli ideatori di Bridge Your Own, questo ambizioso progetto che da qualche anno anno è impegnato a creare un ponte culturale fra l’Italia e New York. Quello che poteva sembrare un progetto un po’ folle, grazie al loro entusiasmo e professionalità è diventato realtà ed ha permesso ai ragazzi dei Domo de Nibe di vivere un’esperienza straordinaria nella patria della loro musica.

     
    Chi sono i Domo de Nibe?

    Alessandro Pardi: Difficile dare una definizione. Siamo sei ragazzi che si sono incontrati ai seminari di Nuoro Jazz 2012, piuttosto diversi tra loro ma molto curiosi verso tutto ciò che è musica. Da quando ci siamo conosciuti abbiamo visto crescere un progetto che, un po' spontaneamente un po' intenzionalmente, non si presta facilmente a essere etichettato o contestualizzato a un genere in particolare;  ci piace invece pensare che sia il risultato dell'incontro delle nostre sensibilità e l'approccio jazzistico al repertorio ci permette di esprimerci più liberamente possibile, saltando dal reggae allo swing, dal free jazz alla musica .


    Perchè avete scelto proprio New York?

    Alessandro Pardi: New York è il luogo simbolo del Jazz e non solo. New York è contaminazione, incontri e scontri di popoli e culture e la sua profonda tradizione jazzistica non costituisce un deterrente a nuove idee ed espressioni. Ci ha colpito il suo carattere frizzante e dinamico, dove ogni cosa sembra essere pronta e predisposta ad essere rinnovata, una leggerezza che più difficilmente si trova in Europa. Obbligatorie le tappe nei locali storici del jazz, tra cui il Village Vanguard e le jam session allo Smalls e al Fat Cat in cui abbiamo potuto respirare un'atmosfera verace e genuina, senza dimenticare l'incontro con storici musicisti newyorchesi che ci hanno fatto provare, anche se per poco, l'emozione di fare musica in una città come NY. 

  • Fatti e Storie

    Ferite a Morte: Serena Dandini scuote New York

    Una donna bruciata, inconsapevole di aver sposato un mostro, una fanciulla stuprata a Central Park, una ragazza lapidata la cui unica colpa fu quella di innamorarsi di quel giovane dagli occhi di gatto scorto al mercato, una moglie uccisa brutalmente con un colpo di pistola dallo stesso uomo che le aveva promesso amore eterno, un ex-fidanzata pugnalata.

    Queste donne, insieme a molte altre descritte nei monologhi di Serena Dandini, sono vittime innocenti di drammatici omicidi. Un unico movente, l’essere donna, uno stesso carnefice, l’uomo.

    Nato in primis come progetto teatrale sul femminicidio, soltanto in secondo momento la Dandini decide di mettere nero su bianco queste storie. Scrivendo il libro "Ferite a Morte" Serena restituisce la vita alle sue inconsapevoli protagoniste e le libera dalla paura.

    La giornalista-scrittrice e volto noto della televisione Italiana racconta storie di violenza sulle donne di tutto il mondo, senza distinzioni geografiche, culturali, sociali e di religione.

    Il modello culturale che emerge in queste storie in maniera preponderante è quello dell’uomo che può possedere e distruggere ciò che ama, indipendentemente da che si trovi in America, Pakistan, Messico o Italia.

    Le vittime si raccontano ripercorrendo i loro ultimi istanti di vita. La scelta di dare voce a donne morte è dettata dal desiderio di rendere loro finalmente libere di parlare e di incriminare i loro carnefici. Non manca un tocco di ironia, scelta stilistica della stessa scrittrice, nel descrivere la quotidianeità di queste donne.

    Il racconto delle vite di queste donne voleva ricordare anche la loro allegria nonostante il tragico epilogo, afferma la Dandini alla redazione di i-Italy, la loro storia nelle cronache viene sfruttata soprattutto per l’audience, ma la loro esistenza è fatta di tanti piccoli episodi in cui noi tutti ci riconosciamo.

    Il femminicidio non è altro che il brutale epilogo per milioni di donne che vivono imprigionate nella paura ed in una quotidianeità fatta di violenze non solo fisiche, ma anche verbali, morali e psicologiche. Nonostante se ne parli continuamente, aggiunge Serena Dandini, dai primi del ’900 ad oggi la violenza sulle donne è una cifra fissa. Questo significa che il problema non è stato proprio preso in considerazione. Non bisogna sottostimare la questione.

    Il femminicidio non deve essere considerato un destino ineluttabile, è necessario fare prevenzione incominciando dalle scuole, perchè dove c’è stato l’ intervento preventivo delle istituzioni si è riusciti ad arginare questa problematica.

    La seconda parte del libro è composta da scioccanti schede che riportano i dati del femminicidio. Dati che purtroppo vedono l’Italia tra i primi posti della classifica. L’accurato studio condotto da Maura Misiti, ricercatrice del Cnr, ci ha fornito cifre allarmanti. La Misiti, dopo una lunga ricerca atta a ricostruire le radici di questa violenza, ha sottolineato l’importanza di un programma di prevenzione.

    Alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, in occasione della presentazione del libro della Dandini, il Direttore Stefano Albertini ha introdotto un dibattito molto profondo con l'autrice sulla  tematica del femminicidio. All'incontro hanno partecipato la giornalista ed ideatrice del documentario "Besame Mucho" Marina Catucci che affronta lo stesso tema facendo parlare però i 'carnefici', Maura Misiti ed il professore di NYU Antonio Monda.

    La rappresentazione teatrale di Ferite a Morte, oltre a fare il giro di tutta l’Italia, è passata anche per Washington nella sede dell’Organizzazione degli Stati Americani, ed a New York,  alle Nazioni Unite.  Ad aprire l'evento è  stato l'ambasciatore italiano Sebastiano Cardi, che ha la necessità di una sensibilizzazione contro i numerosi soprusi che le donne subiscono ogni giorno. Lo scopo è quello di generare un dibattito e scuotere le coscienze proprio all’interno di istituzioni dove la difesa per i diritti umani è una battaglia quotidiana.

    Le conferenze, le manifestazioni e le assemblee precedenti a questi eventi organizzati dagli organismi internazionali purtroppo non hanno sortito gli effetti sperati: le donne continuano a morire per mano degli uomini. La strada è difficile ed ancora impervia, ma la presa di coscienza e la concreta azione è una scelta obbligata. 

  • Arte e Cultura

    NYU. Con Alberto Angela alla scoperta del mondo romano

     L’affascinante libro di Alberto Angela racconta l’avvincente avventura di un sesterzio, moneta comune della Roma imperiale, che viaggia  facendo tappa in Inghilterra, in Africa, in India, nelle suggestive Colonne d'Ercole, fino ad arrivare in Gallia ed in Italia.

    La piccola moneta compie il suo giro itinerante passando di mano in mano ai protagonisti.  Quest’ultimi non sono frutto dell’immaginazione, a parte qualche eccezione, ma sono personaggi veramente esistiti nell’antichità. Le loro stesse battute sono prese in prestito dalle opere di celebri autori latini, come Ovidio, Marziale e Giovenale.
     

    Lo scrittore descrive una Roma impelagata in problematiche molto simili ad una città moderna: traffico, abusivismo edilizio, immigrazione e caos giornaliero.

    Lo scopo del racconto è proprio  quello di esperire una sorprendente contestualizzazione della civiltà dell’antica Roma nel mondo di oggi, civiltà che ha gettato le basi per il consolidamento della società moderna.

    Lo stesso autore, durante la sua presentazione, specifica questo aspetto rilevante: il mio libro è molto attuale, ogni capitolo si riflette con l’oggi. Leggendolo si scorgono gli errori che hanno compiuto i romani che noi non facciamo e viceversa.

    Angela ricorda che in un’epoca dove non esistono i media, la moneta era l’unico strumento di propaganda e informazione. Il sesterzio diventa un vero e proprio comizio dell’imperatore ed una prova della sua magnificenza. Per questo motivo su un lato della moneta c’era Traiano con una corona d’alloro, mentre dall’altra la figura di un monumento simbolo della grandezza dell’imperatore, ad esempio il Circo Massimo, il nuovo porto di Ostia, oppure un grande acquedotto.

    Il racconto nasce da una minuziosa ricerca durata 15 anni nella quale lo scrittore-naturalista-paleontologo approfondisce la sua conoscenza studiando stele tombali, testi antichi ed iscrizioni recandosi direttamente nei luoghi dove l’impero ha lasciato maggior traccia di sè nonostante il trascorrere dei secoli. 

    La prima volta che ho visto gli scavi di Pompei, quei luoghi mi sono risultati  da subito familiari... in ogni città in cui sono stato ho scorto numerose assonanze con le nostre metropoli. Noi ancora percorriamo strade romane, godiamo dei loro acquedotti, ammiriamo i loro documenti, rivela Angela alla Casa Italiana, alla fine ci si rende conto che la grandezza di Roma non è stata la legione, ma il loro modo di vivere la quotidianeità.

    Tra le pagine del libro è possibile scorgere curiose similitudini con gli usi e costumi moderni: il quotidiano utilizzo da parte delle donne del trucco, l’abitudine d’indossare la biancheria intima, la depilazione degli uomini e  delle donne, la degustazione di buon vino, l’attenzione per la cura del corpo.

    I romani, inoltre, avevano la consuetudine di tatuare gli schiavi  che tentavano di scappare con la sigla  FUG, ossia fugitivus. Lo scrittore, tuttavia, svela che gli schiavi non vivevano una condicio sociale degradante, ma potevano essere liberati (i cosiddetti liberti) e potevano addirittura sposare una donna libera.

    Interessante è la descrizione sull’emancipazione femminile: le donne non potevano ricoprire cariche politiche importanti, ma erano considerate le vere padrone di casa e riuscivano addirittura a divorziare dai loro mariti, come successe a Silla, Catone e Cesare.

     La moneta dopo tanto vagare ritorna di nuovo a Roma, nel cuore dell’Impero. Si conclude così anche l’avventuroso viaggio del lettore in quello straordinario, antico, eppur così attuale, universo romano.

  • Fatti e Storie

    Monsignor Matino. I segnali della speranza a Napoli

    La speranza è il mezzo per uscire dalla precarietà. Senza la speranza, senza quel motore di ottimismo, si rimane impantanati, queste sono le parole rassicuranti di Mons. Matino pronunciate alla Casa Italiana nel ricordare la furia dell’uragano Sandy a New York.

    Gennaro Matino era proprio qui l’anno scorso quando l’uragano si è abbattuto sulla città. Per l'occasione aveva celebrato alla Casa Italiana della NYU una indimenticabile messa.  Il parroco napoletano, docente di teologia, scrittore ed editorialista presso diverse testate, sostiene che se non ci fosse stata la speranza a dare lo sprone ai cittadini newyorkesi, sarebbe stato molto più difficile rialzarsi dalle macerie. La speranza per il Monsignore non si concreta in una fuga

    Per Matino la speranza per i credenti è identificata nella divina provvidenza e la provvidenza è il cammino dell’uomo con Dio. Ma la speranza non esiste solo per l’uomo che ha fede, questa è una straordinaria avventura di ogni essere umano che vive nell’ottimismo e nella luce della verità che illumina il quotidiano.

    Il Monsignore non crede che un sano realismo non possa coesistere con questa sua posizione positivistica, anzi , una persona realista può colorare la sua vita di ottimismo verso il futuro: Si è vecchi quando si vive di rimpianti e di nostalgie, si è giovani quando si è aperti alla speranza.

    Alla domanda di Stefano Albertini, Direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò,  su dove ravvisasse questa speranza nella città di Napoli, il professore ha risposto che, a dispetto del disinganno della verità causato della corruzione della classe dirigente e della criminalità organizzata, è possibile scorgere quel barlume di luce chiamata speranza proprio nel popolo napoletano, A Napoli esiste ancora solidarietà, si riesce a dividere il piatto con le persone in difficoltà. C’è meno solitudine e si crede nel valore della compagnia e nell’importanza che si è uomini nel condividere la vita. Fa ancora scalpore nella mia città la notizia di un uomo che muore da solo perchè  questo avvenimento viene visto come un abbandono dell’intera comunità. E’speranza questa o no?

     
     Matino ha ricordato le numerose organizzazioni di volontariato attive sul territorio partenopeo , sempre vigili e pronte a portare il loro sostegno materiale e morale nei quartieri più problematici e degradati. Aldilà delle oscillazioni del PIL e delle condizioni economiche di un paese, ha ammonito il sacerdote, la comunità cresce e si evolve se coltiva e preserva le relazioni umane. Matino ha difeso i giovani ed il loro attivo impegno nel sociale a volte purtroppo fallimentare perchè non trova un riscontro concreto nella classe politica. Basti citare le  manifestazioni contro la catastrofe ambientale in Campania o i progetti di pulizia e di bonifica delle piazze e dei giardini napoletani.

    Uno dei momenti più sofferti e critici per Napoli è stato il terrificante  e doloso incendio che ha devastato la Città della Scienza, il luogo simbolo dei progetti di bonifica e rinascita dell'ex area industriale partenopea e l’emblema di rinnovamento e riscatto. Matino ha tenuto a precisare che la mobilitazione globale dei cittadini per la ricostruzione di questa struttura è stata commovente e coraggiosa. Un’unica voce riecheggiava tra le migliaia di persone accorse sul luogo della disfatta: “No alla Camorra, la Città della Scienza è ancora viva!”

     Matino conclude il suo discorso asserendo che la classe dirigente non risponde in modo appropriato alle esigenze della società e non crea condizioni opportune per poter vivere e lavorare a Napoli. I segni di speranza fanno tristemente i conti con un quotidiano ancora troppo complesso e difficile.

  • Arte e Cultura

    Da Milano ad Harlem il jazz raffinato di Simona Premazzi

    Pianista, compositrice, insegnante di musica, talento e grazia tutta al femminile. Simona Premazzi, originaria di Busto Arsizio si è trasferita nella Grande Mela nel 2003 per realizzare il suo grande sogno, diventare una musicista jazz di successo internazionale.

    Ed è sicuramente riuscita nel suo intento: ha collaborato con straordinari musicisti, basti citare i nomi di Greg Osby, Enrico Rava e Paolo Fresu , si è esibita in famosi locali come il Blue Note, i suoi tre albums Looking for an Exit, Inside in e The Lucid Dreamers  sono la sintesi della sua grande versatilità ed originalità. La chiave del suo successo è racchiusa in un’interpretazione autentica dei brani da lei composti e rivisitati e nello studio approfondito ed appassionato del panorama mondiale del jazz.

    La redazione di i-Italy ha intervistato Simona Premazzi per conoscerla meglio come musicista italiana residente a New York.

    Chi è Simona Premazzi?

    Simona Premazzi è una pianista compositrice italiana che vive a New York da nove anni per affermarsi come musicista.

    La scelta di vivere a New York è stata obbligata o naturale per il retaggio jazz di questa città?

    Entrambe. Qui il livello artistico è molto più alto e purtroppo in Italia non è facile trovare un ambiente così stimolante. Non esiste un’altra città così artisticamente attiva come New York. Il jazz nel nostro paese non è diffuso dai mass media, forse solo Bollani con la sua trasmissione televisiva è riuscito a farlo arrivare anche alle persone che non fanno musica. Inoltre è un genere musicale di origine americana e solo gli italiani che hanno imparato ad apprezzarlo si sono veramente appassionati. Anche in America però le cose sono cambiate rispetto agli anni ’50, il jazz ha subito delle contaminazioni con la musica hip hop o con l’elettronica. Noi musicisti abbiamo il compito di portare avanti questa forma d’arte così rara.

    Nel tuo album Inside In hai deciso di suonare due colonne classici del jazz, Brazil  e Blue Moon. Come mai questa scelta?

    Sono rimasta molto colpita dal film Brazil di Terry Gilliam e dalla colonna sonora. Ho suonato Brazil perchè volevo fare un tributo al Brasile ed alla sua musica. Per quanto riguarda Blue Moon, questa canzone mi ricorda lo stile di Coltrane e per questo ho cercato di unire un arrangiamento più moderno ad una musica jazz antica.

    Parlami del tuo ultimo lavoro discografico Lucid Dreamer ed in cosa si differenzia ai tuoi dischi precedenti...

    Il disco è concettuale, vorrei offrire ad i miei ascoltatori una sorta di sogno lucido, quasi uno stato di veglia. La prima traccia è dedicata a Edna St. Vincent Millay, poetessa dei primi del ’900 coraggiosa e d’avanguardia. I brani sono tutti diversi ma l’elemento che li accomuna è la mia impronta compositiva.

    Progetti di ritornare in Italia?

    In Italia mi piace sempre tornare per lavoro e per la mia famiglia che mi manca tanto. Tornarci in pianta stabile no. Non ho ancora nessun progetto di trasferirmi di nuovo in Italia per varie problematiche legate al nostro paese, anche se è la mia terra e l’adoro.

    Aspettiamo il prossimo concerto di questa talentuosa artista per vivere insieme a lei un “Lucid Dream”.

  • Arte e Cultura

    Capogrossi dall’idea al progetto

    Il maestro dell’astrattismo Giuseppe Capogrossi ritorna nella Grande Mela dopo più di cinquant’anni d’assenza. L’ultima volta una sua mostra era stata allestita al Leo Castelli Gallery di New York. Il 6 novembre la Casa Italiana Zerilli Marimò ha accolto questo evento esclusivo ed imperdibile. Il Direttore Stefano Albertini e la curatrice Isabella Del Frate hanno
    collaborato insieme alla Fondazione Archivio Capogrossi, Guglielmo Capogrossi e Laura d’Angelo, per organizzare quest’esposizione di grande importanza per la cultura italiana a New York.

    Ma chi era Giuseppe Capogrossi. Capogrossi è un pittore che prima di diventare tale ha studiato Giurisprudenza a Roma. Non riuscendo a vestire i panni di uomo di legge decide di seguire le sue passioni e le sue attitudini dedicandosi alla pittura. Inizia con uno stile figurativo per poi passare negli anni ’50 definitivamente all’astrattismo. L’artista stesso segna questo passaggio con testuali parole : Ho sentito il bisogno di ricominciare da capo, per non essere più schiavo. Era diventato per me un bisogno morale. Inizialmente il suo tratteggio astratto e la scissione tra immagine e tecnica hanno suscitato critiche non positive soprattutto da parte del popolo italiano riluttante ad accogliere le nuove tendenze dell’arte contemporanea.
     

    Nella mostra sono esposti sia il bozzetto del quadro sia l’opera definitiva. Questa singolare scelta è stata presa per far comprendere ai visitatori l’idea primordiale dell’artista e l’evoluzione della stessa idea nella tela completata. Dai suoi dipinti emerge la potenzialità della grafica del segno, essenziale ma decisa e comunicativa. Oltre ad un’innegabile valore artistico la produzione grafica è considerata anche fonte  documentaria inestimabile, grazie agli appunti che l’artista lasciava ai margini dei suoi quadri. Le poche righe scritte d’impulso erano spesso richieste a stampatori o affettuose dediche  a persone a lui care.

    Questa concatenazione di frammenti segnici rappresenta un’infinita possibilità di varianti che modificano la struttura della superficie. Disposti a catena o isolati nella tela, i suoi segni danzano armonicamente con lo spazio ed il colore. La rappresentazione del grafema a tridente rieterato è la ricerca di un ordine e di una metrica ritmica espressa attraverso moduli grafici. L’artista stesso ha affermato che in questa tecnica pittorica si riassume la sua libertà, la felicità, la pienezza del proprio essere e l’espressione diretta del proprio esistere.

    Il collage dei segni, in realtà, ha un preciso significato: scoprire le molteplici dimensioni dello spazio pittorico e del tratteggio corrisponde ad un’accurata lettura di noi stessi. Forse è proprio per questo motivo che il pittore ha lavorato per così tanti anni al perfezionamento della grafica, perchè attraverso quell’infinita sequenza di segni coglieva la sua essenza.

    L’artista sarebbe ben lieto di ritornare a New York dopo l’esito positivo che ha avuto la sua mostra alla Leo Castelli Gallery molti anni fa. Questo evento è stato per la sua carriera una grande occasione di dialogo con un paese che nel ’59 era sicuramente il più all’avanguardia nell’arte contemporanea. La sua amica Elisabeth Reed Keller, conosciuta  a Roma e da lui ritratta, l’ha spinto ad allestire una mostra al Museo d’Arte Moderna di Dallas, in quanto, lo rincuorava, che in America incoraggiavano i giovani talenti italiani. E questo consiglio è stato prezioso per l’arte di Giuseppe Capogrossi.

  • Arte e Cultura

    Balla alla Casa Italiana!

    La famosa opera d’arte  di Giacomo Balla Penetrazioni Dinamiche d’Automobile è tornata  eccezionalmente alla Casa Italiana Zerilli Marimò, prima di andare all’asta da Christie’s  per un valore stimato di 5 milioni di dollari. Per la sua originalità il dipinto è incluso nel libro di Boccioni, anch’esso esposto nella Casa Italiana.

     Il direttore Stefano Albertini ha evidenziato l’importanza e l’unicità della mostra ringraziando gli organizzatori Andreas Rumbler di Christie’s New York e Massimo Cirulli del Massimo & Sonia Cirulli’s Archive.

     Il docente Nicola Lucchi, prima di entrare nel dettaglio della spiegazione del dipinto, ha esposto una breve prefazione ai visitatori: Questa sera abbiamo preso tutti parte ad un evento speciale. L’ultima volta che quest’opera d’arte è stata ammirata da un pubblico come il nostro era nel lontano 1915. I nostri predecessori hanno visto la tela di Balla in occasione del  Panama-Pacific International Exposition, a San Francisco.

    Il quadro, come hanno affermato gli studiosi Paolo Baldacci and Flavio Fergonzi, è “l’atto finale della storia  pubblica del disegno”. Questa sera abbiamo il privilegio di riprendere un discorso interrotto quasi un secolo fa.”

    L’opera rappresenta un auto in  movimento che attraversa lo spazio solo su due dimensioni. Secondo l’esaustiva spiegazione di Lucchi questo quadro segna il passaggio di un’era, ossia di un momento storico in cui l’Italia, ancora prevalentemente agricola, si stava preparando all’avvento dell’industrializzazione.

    L’obiettivo della corrente futuristica è proprio quello di esperire una stretta correlazione tra il potere della tecnologia ed il contesto sociale e culturale. Il dipinto di Balla è proprio un esempio significativo dell’intento dei futuristi.

     Il docente ha proseguito evidenziando che l’opera con il suo dinamismo meccanico e la sua propensione al movimento è in realtà lo specchio di una nascente classe borghese con nuove e specifiche richieste al mercato. La sinuosità delle linee, il tratto deciso ed il dinamismo delle forme esprimono il movimento del futurismo. Questo disegno è un esemplificativo di quanto l’arte futuristica sia un costante dialogo con la realtà contemporanea, con l’innovazione tecnologica e talvolta con pericolose ideologie politiche.

    Nicola Lucchi conclude egregiamente con un’arguta riflessione : Quest’opera è in realtà una metafora della difficoltà che s’incontra quando l’arte s’interfaccia con la tecnologia, quando la fatica creativa riconosce il genio che risiede nel lavoro, quando la poesia contrasta con il progresso scientifico. Per quelli come noi del mondo accademico si erge come un invito ad un dialogo necessario tra le scienze umanistiche ed altri campi d’indagine  per affrontare al meglio le sfide e le opportunità del nostro tempo e del nostro futuro.  

  • Arte e Cultura

    Alessandra Garosi talento e gioia di fare musica

    Sorridente, talentuosa, eclettica, affabile.... queste sono solo le qualità dell’artista Alessandra Garosi, pianista affermata e di fama internazionale che si è esibita in uno dei punti nevralgici della cultura italiana a New York, la Casa Italiana Zerilli Marimò. Durante la sua esibizione il pubblico era entusiasta dinnanzi a tanta grazia e genialità. Alessandra Garosi non fa  solo musica, lei sente la musica. Suona con tecnica e maestria ma soprattutto con quell’emozione di chi approccia per la prima volta all’arte.

    La redazione di i-Italy l’ha intervistata prima del suo concerto.      

     Chi è Alessandra Garosi?

    Alessandra è una pessima cuoca, che vive nel cuore della Toscana con figlio e marito toscani, già questa è una grande incoerenza. Suona il pianoforte da quando aveva sei anni, studiando sia in Toscana che in Irlanda, Australia, Francia e USA  presso l’Università di Bloomington. Gli studi sul pianoforte hanno riguardato la musica classica, ma gli interessi musicali son sempre stati rivolti ad altri generi: il rock di avanguardia degli anni 70/80, il grande amore per il Jazz e la musica popolare hanno "inquinato" non poco il mio modo di suonare. Insomma, a casa studiavo Bach otto ore al giorno, e la sera ascoltavo i Pink Floyd e Gilberto Gil. Con Harmonia Ensemble, guidata dal management Materiali Sonori, ho coronato il desiderio di unire la tecnica classica a letture musicali diverse da quelle che avevo studiato: da Frank Zappa, a Roger Eno e Chick Corea. Questo è quello che direi adesso di me: una pianista felicemente "sporcata" dai suoni che la circondano, figlia del suo tempo, brutto o bello che sia.

     Cosa ti ha spinto a venire in America ed a New York?

    La prima spinta è stata la volontà di trovare università americane in grado di accogliere musicisti italiani con borse di studio decorose per i miei studenti siciliani. Ho trovato New York sempre più bella, e la giornata del concerto entusiasmante, con la mostra del quadro di Balla e tanti giovani attivissimi che si adoperano affinchè la bellezza sia espressa sempre con grande professionalità. Sarebbe bello se potessi far vedere  questo in Italia, dove  purtroppo negli ultimi tempi trovo un grande appiattimento di intenti e di volontà costruttiva.

     Come mai hai scelto per questo concerto i brani di Gershwin, Villa Lobos, Frank Zappa e le colonne sonore di Nino Rota?

    Questo è un programma italo americano, un pò retrò per me che suono prevalentemente musica del mio tempo ma lo adoro perchè ognuno di questi personaggi è unico, inimitabile, tutti quanti hanno attinto dal Jazz a loro modo, e hanno scritto con con linguaggi assolutamente personali e articolati. Nino Rota ha scritto anche bellissima musica classica non molto eseguita, che tutti hanno suonato nel 2011, suo anniversario, sconosciuta fino a quella data. Certo che siamo proprio strani!

     Hai collaborato con famosi artisti come Enrico Rava, Stefano Bollani, Stefano Zenni, Giorgio Gaslini....cosa ti hanno lasciato queste collaborazioni?

    Ho conosciuto personalmente Enrico Rava a un concerto dove suonavamo entrambi. Rava e Gaslini hanno segnato per sempre un mio modo di suonare. Loro per me rappresentano la libertà e la realizzazione d’idee d’incredibile classe e semplicità. Con Stefano Bollani ci siamo incontrati varie volte ed abbiamo inciso un CD insieme nel quale lui suona la fisarmonica! Stefano Zanni invece è il mio "santone"...non ci sentiamo mai ma quando faccio qualcosa di nuovo gli chiedo sempre cosa ne pensa, ho bisogno del suo appoggio sempre!Ho avuto la grande fortuna di conoscere persone molto più profonde e capaci di me, ho potuto gioire della loro presenza e qualche volta anche avvicinarmi al loro Paradiso.

    Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

     La famiglia, certo, prima di tutto, compreso il gatto....Suonare, sempre e comunque.....e  cercare nel mio piccolo di aiutare i miei studenti musicisti a trovare una loro strada, che non sia troppo piena di buche.  Musicalmente, nel 2014 uscirà una monografia di Giorgio Gaslini che sarà inaugurata al Centro Busoni di Empoli, dove suonerò con Stefano Parrino, Francesca Breschi e Paolo Corsi. I prossimi concerti nel 2014 sono in Germania, Messico ed Australia. Per il resto, sarò al Conservatorio di Messina a insegnare Musica da Camera, cercando scambi internazionali e parlando di musica con illustri allievi, direi giovani colleghi, più corretto...

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