Articles by: Sara Capraro

  • Art & Love: il Rinascimento Italiano al Metropolitan di New York


    Nel Rinascimento, in Italia,   i momenti chiave della vita erano celebrati con grandiosi festeggiamenti Fidanzamenti, matrimoni, nascite e battesimi rappresentavano le occasioni più significative per organizzare ricevimenti in stile principesco.

     
    “Arte e Amore nell’Italia del Rinascimento” in mostra al Metropolitan di New York fino al 16 Febbraio 2009, ci regala una visione di come la celebrazione delle nozze, e soprattutto dell’amore, diede vita a splendide espressioni d’arte in uno dei periodi più ricchi e fecondi della storia artistica italiana, il Rinascimento. Circa 150 le opere in mostra, tutte datate tra il 1400 e il 1550. Fra queste è possibile ammirare squisiti esempi di maiolica e gioielli, donati alle giovani coppie in occasione delle nozze. Oppure ritratti nuziali simbolo di amore e fertilità, come ‘Venere e Cupido’ del grande artista veneziano Lorenzo Lotto. E ancora alcuni rarissimi pezzi di cristalleria rinascimentale, pannelli da cassapanche e deschi per il parto, oltre a disegni e stampe raffiguranti soggetti amorosi.
     
    La mostra è divisa in tre sezioni. La prima, intitolata ‘Celebrando Fidanzamenti, Matrimoni e Nascite’, raccoglie tutta una serie di preziosi doni di nozze, tra cui uno dei primi solitari di fidanzamento a noi conosciuti. ‘Amore Profano’,  invece si concentra sul  tema degli oggetti sull’erotismo. Sono riuniti disegni, stampe ed altre rarità frutto del lavoro di alcuni fra i più importanti artisti del tempo, come Parmigianino e Giulio Romano. A termine del percorso, infine, ‘Dal Cassone alla Poesia: dipinti d’Amore e Matrimonio’, in cui i visitatori potranno ammirare ritratti unici, opera di nomi illustri come Botticelli, Tiziano e Lorenzo Lotto.
     
     
     La chiusura della mostra, preannunciata per il 16 Febbraio , sarà preceduta da un ulteriore evento ad essa legato, fissato per il 6 (11:00-4.45 – Auditorium The Grace Rainey Rogers). Si tratta del simposio ‘Gli Strumenti della Passione, la Gara tra le Arti, che continuerà anche il 7 Febbraio presso la Columbia University. Ad introdurre i lavori Andrea Bayer, curatore del Dipartimento di Pittura Europea del Metropolitan.
     

     

    Ulteriori eventi legati alla mostra:
     

    6 Febbraio 2009, simposio‘Gli Strumenti della Passione, la Gara tra le Arti
    ’.

    11- 4.45 Auditorium The Grace Rainey Rogers, Metropolitan Museum of Art.

    7 Febbraio 2009, simposio ‘Gli Strumenti della Passione, la Gara tra le Arti.

    Columbia University. Introduzione di Andrea Bayer, curatore del Dipartimento di Pittura Europea del Metropolitan

    Info: Metropolitan Museum of Art, 1000 Fifth Avenue, New York, Tel. 212 535 7710. Fino al 16 febbraio 2009. Orari: mart., merc., gio., dom. 9.30-17.30; ven. e sab. 9.30-21; chiuso il lunedì. www.metmuseum.org

  • "Italians". Perchè gli italiani devono sempre farsi riconoscere…

    Cosa succede se prendi il più bello, il più divertente e il più intellettuale del panorama cinematografico italiano e li metti tutti insieme davanti una macchina da presa? Succede che ti ritrovi dinanzi ad un cast d’eccezione, che non potrà non conquistare la simpatia degli italiani e che già promette di sbancare i botteghini dei cinema di tutto il Paese.

    È ‘Italians’, il nuovissimo lavoro del regista Giovanni Veronesi, in uscita in tutte le sale il prossimo 23 Gennaio 2009. E loro sono Riccardo Scamarcio, Carlo Verdone e Sergio Castellitto.
     
    Prodotto da Luigi e Aurelio De Laurentiis, il film si apre con la storia di F ortunato (Castellitto), camionista romano con un passato a trasportare Ferrari rubate negli Emirati Arabi, deciso ad ‘andare in pensione’ e passare il lavoro al giovane Marcello (Scamarcio). Per apprendere i segreti del mestiere il giovane lo segue in quello che, per Fortunato, sarà l’ultimo viaggio verso Dubai, in un’avventura in mezzo al deserto e agli stereotipi del mondo arabo, con un finale che è tutto una sorpresa. A dare vita al secondo episodio è invece Giulio (Verdone) affiancato da una splendida Xenia Rappoport (già protagonista, con Tornatore, in ‘La Sconosciuta’). Dentista Borghese depresso per la separazione con la moglie, Giulio parte per San Pietroburgo, per partecipare ad un importante convegno medico. Ansioso, inconsolabile e in astinenza da oltre un anno, si lascia tentare dal magnaccia Vito Calzone (Dario Bandiera) a fruire dei suoi pacchetti viaggio ‘tutto compreso’.
     
    Da qui, l’alternarsi continuo di gags fatte di equivoci, sparatorie e

    festini a base di sesso e caviale.
    A detta dello stesso Veronesi il film è stato ispirato da un articolo apparso sul New York Times, ove era scritto che “Gli italiani sono quelli che ‘suonano’ di più al metal detector”. Idea di fondo, dunque, quella di raccontare vizi e virtù degli Italians all’estero, e per portare su schermo la loro parte a volte un po’ goffa e ridicola, a volte geniale e romantica.
     
    Come dichiarato dallo stesso Veronesi: “L'idea di ‘Italians’ è nata in una delle tante cene tra me e Aurelio De Laurentiis. Quando lui mi disse che gli sarebbe piaciuto fare un film sugli italiani famosi all'estero e io gli risposi che a me sarebbe piaciuto fare un film sugli italiani all’estero e basta, anzi meno famosi erano e meglio era. Sicuramente sarebbero stati più simpatici e riconoscibili per il pubblico. Lui ci pensò un po’ e alla fine della cena disse: “Hai ragione tu, niente famosi!”. E così sono partire le riprese di ‘Italians’.

     E dicendo "Italians" ovviamente non sì può non pensare alla felice rubrica del Corriere che da anni Beppe Severgnini tiene con i lettori.  E ovviamente anche a tutti i libri che sono stati scritti da lui sempre con lo stesso titolo.

     In un faccia a faccia pubblicato sul Corriere della Sera tra il regista ed il giornalista, il primo scherzando ha detto: «Grazie. Cioè, volevo dire: grazie a te e al Corriere della Sera per avercelo prestato».
     
    Ora sta agli italiani, quelli all'estero, quelli veri insomma, vedere se si riconosono e se, soprattutto, riescono ad avere l'autoironia di sapersi prendere in giro. Guardare dentro anche con qualche stereotipo.

  • L'altro volto di Benito Mussolini

     L’ennesima docu-fiction sul dittatore italiano e l’era fascista? No. ‘Mussolini, tutto in una notte’ è sì un po’ film, un po’ documentario. Ma ciò che sicuramente contraddistingue quei 53 minuti di intenso racconto è la figura di un ‘Uomo’. Non un protagonista della storia, documentato nei modi più disparati da decine e decine di pellicole, onnipresente su ogni testo di storia. Solo un uomo, alla fine dei suoi giorni.

     
    Creato per la TV  e' stato  presentato in anteprima dal  John Calandra Italian American Institue e dall'Istituto Italiano di Cultura di New York presso il CUNY Graduate Center di Manhattan.
     
    Dopo una breve introduzione del Professor Antony J.Tamburri, Dean del Calandra Institute e una presentazione di Francesco Maria Talò, Console Generale a New York

     e' cominciata la proiezione davanti ad pubblico molto attento.
     
    La pellicola inizia con il discorso di Benito Mussolini al Teatro Lirico di Milano, il 17 Dicembre del 1944 e prosegue raccontando gli ultimi mesi di vita del dittatore. Alterna immagini in bianco e nero, riprese da documenti autentici dell’Istituto Luce, a reinterpretazioni recitate di momenti di vita verosimilmente accaduti.
     
    Decisamente arduo il compito del regista, sceneggiatore e attore principale, Ugo De vita, cui va il merito di aver reso noto il lato umano di un individuo non certo comune, ma finora raccontato più per le sue gesta politiche, che per il suo personale e drammatico vissuto di essere umano. Estremamente significativa e febbrilmente pervasa da una forte carica emozionale la scena in cui, ricevuta la notizia del trattato coi tedeschi e la pace incombente, vediamo un Mussolini solo.  Stretto in  un angolo di una stanza, in penombra, seduto su una sedia con la testa fra le mani, piangente, disperato, abbattuto, urla: “Hanno parlato di un processo regolare. Ma dove? Quando? Qui non arriva nessuno….Io ho sbagliato, l’ammetto, ma in politica spesso si sbaglia!”. O ancora il drammatico momento in cui il dittatore incontra la moglie Rachele, per ordinarle di scappar via lontano, il più presto possibile, lei e i ragazzi. Scena che si chiude nel tenero abbraccio di due amati, consapevoli di una fine ormai imminente.
     
    In Italia, ‘Mussolini, l’ultima notte’ farà il suo debutto a Roma, il 10 febbraio (ndr, in concomitanza con l’uscita dell’omonimo libro) e sarà presentato presso la Camera dei Deputati, sponsorizzato dall’associazione Nessuno Tocchi Caino.
     
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    In occasione dell'anteprima newyorkese, abbiamo intervistato il regista del documentario Ugo De Vita, anche lui presente in sala:
     

    Come nasce l’idea di questo film su Benito Mussolini? E perché ha scelto di rappresentare e rendere al pubblico più il suo lato umano, di uomo, che di protagonista storico?
     
    Inizialmente mi fu proposto di rappresentare in veste di attore la figura di Benito Mussolini, per un progetto molto ambizioso della televisione italiana. Un discorso su cui ho riflettuto molto, in quanto per me, uomo di sinistra, questa si presentava come una scelta abbastanza difficile. Ma credo che non debbano esistere argomenti da ‘negare’ nel mio lavoro. E così ho iniziato a lavorare a questo progetto. Poi, senza ragioni chiare è stato bocciato. Così ho deciso di fare una cosa diversa. Non un
    film, ma un film documentario. Non ho avuto paura ad affrontare questo lavoro e anzi, credo di aver dato un contributo nteressante.
    Penso che la vera sostanza di q

    uesto lavoro sia proprio il mio impatto con il personaggio Mussolini. Ciò che infatti emerge sin dall’inizio è che per la prima volta egli viene trattato in un modo diverso. Per me la distanza era siderale, stellare. Difficile davvero arrivare a Mussolini, perché era un uomo di potere, cioè un politico e un dittatore. Ma il film non sottovaluta la questione delle responsabilità gravi e storicamente importanti di Mussolini. La stessa questione delle leggi razziali (ndr, nel film è rappresentato uno stralcio del ‘Manifesto della razza’ del 1938) è davvero importante, perché molti ne parlano, ma pochi le conoscono nella loro assurdità. E credo che acquisti un’importanza ancora maggiore portarle e rappresentarle accanto a una dimensione umana.
    È inutile e pericoloso pensare al demonio. Guardare invece all’aspetto della ‘persona’ Mussolini è invece secondo me importante per comprendere poi l’intero percorso di degenerazione.
      
    Perché riassumere un’esperienza di vita in pochi minuti?
    Quegli ultimi giorni rappresentati nel documentario raccontano una storia orribile. C’è da un lato quest’idea di presunzione di gloria e d’illusione che aleggia nella prima parte del film e dall’altro il disfacimento totale degli affetti e della famiglia. La fine di tutto.
     
    Che impatto ha avuto secondo lei sulla parte Americana del pubblico presente nella sala della Cuny?E che cosa si aspetta poi in Italia?
     
    Alcuni politici, sia di destra sia di sinistra, cui ho anticipato la visione del film, hanno apprezzato il lavoro. Ciononostante so perfettamente che farà discutere. Il vero problema è che per interpretare il personaggio di Mussolini, per lavorare al meglio come attore, dovevo necessariamente creare nello spettatore una certa empatia. Altrimenti ‘non l’avrei preso’, non sarei riuscito a catturare la sua attenzione. E ciò immancabilmente ha influito sulla sostanza e sul senso, sulla direzione del film.
    È un problema che già metto in conto di affrontare, perché è normale che sia così. Sinceramente credo che il libro su questo tema avrà meno problemi, perchè lì potrò trattare in modo più sistematico le questioni  a cui tengo.
     

  • Fashion Michelle: Mrs Obama ‘nelle vesti’ di Maria Pinto


     Gli stilisti americani impazzano per catturare la sua attenzione, ma lei, Mrs. Obama, sceglie una stilista italo-statunitense, e ne fa una star.

    Lei è Maria Pinto e, se fino a due anni fa il suo nome era ancora poco conosciuto, oggi rimbalza da una pagina all’altra delle più affermate riviste di moda degli States.
    Sue sono infatti molte delle creazioni indossate dalla First Lady, tra cui senz’altro padroneggia il semplice ma elegante abito viola, indossato la notte della vittoria di Barack Obama alle elezioni.
     
    Nata a Chicago, ma di origini italiane, la stilista ha iniziato a disegnare a sedici anni come assistente di Geoffrey Beene, guru della moda americana, per poi mettersi in proprio e rilanciare il brand dopo uno sfortunato periodo di declino dovuto alla crisi economica del post-terrorismo, nel 2002.
     
    Inizia così a farsi strada due anni dopo, proponendo nuovi abiti eleganti da giorno, affiancati da alcune rivisitazioni di sue collezioni passate. Proprio in questo periodo il suo talento viene notato da Michelle Obama che diventa una delle sue più affezionate clienti. Quando poi Vanity Fair proclama la First Lady una delle 10 donne miglior vestite del 2007, lei ‘nomina’ la Pin to come sua stilista preferita.
     
    Da qui il boom inaspettato. Nel febbraio dello stesso anno, a Springfield, mentre il marito Barack Obama annunciava  la sua candidatura alle presidenziali, Michelle teneva la mano alle bambine, come lei vestite in abiti di Maria Pinto.
     
    Scelse lo stesso stile anche quando, insieme all’allora candidato, partecipò, alla presenza di un pubblico accalorato, al The Oprah Winfrey Show (ndr, la cui padrona di casa, Mrs Oprah, nel giro di poche settimane divenne un’altra ‘Pinto addicted’). E ancora a Denver dove, per il palco della Convention, Michelle scelse uno stupendo abito color turchese.
    Oggi, le vendite in casa Pinto sono aumentate del 300%, tanto che, dal 2008, la casa di moda vanta una boutique di circa 600Mq nel West Loop, a Chicago, oltre a diversi punti vendita nei grandi department store di lusso americani, come Saks Fifth Avenue, Barneys New York e Takashimaya.
     
    I tempi duri sembrano ormai appartenere al passato per la stilista, che ad oggi continua a riscuotere un gran successo. Ed ora, non ci resta che attendere la prossima apparizione di Michelle, magari per indovinare il colore del vestito che riempirà le pagine di moda per il resto del mese.

     

  • Noi, gli Italiani stranieri

    Cambia lo Stato, cambia il tempo, ma la storia si ripete. Successe negli anni Sessanta in Italia, e  prima in America. Un grande esodo che segnò la nostra storia e ci fece protagonisti diretti di un colossale movimento migratorio. Era quello di intere famiglie, dal Sud al Nord d’Italia, in cerca del ‘miracolo economico’. Ed era anche quello che aveva portato, decenni prima, i padri di quelle stesse famiglie ad attraversare l’oceano intero, per raggiungere il Nuovo Mondo, per inseguire un sogno americano.

    Oggi in Italia, di quell’esodo che allora ci vedeva protagonisti, siamo spettatori diretti. Perché ‘il grande viaggio’ non è più tanto il nostro, quanto, invece, delle famiglie immigrate dal Sud e dall’Est del mondo verso la nostra terra. E lo è ancor più dei loro eredi, nati e cresciuti nel nostro Paese, gli ‘immigrati di seconda generazione’, cui spetta decisamente il compito più arduo: riscattare le fatiche e il sudore dei propri padri, diventando parte integrante della classe dirigente di domani.

    Sono loro i Ragazzi G2, un nome che i figli e le figlie di immigrati e rifugiati, nati in Italia o arrivati da minorenni, hanno scelto per definirsi. Giovani che sono e si sentono italiani, pur non dimenticando le proprie origini. Proprio per loro iniziativa nasce a Roma, alla fine del 2005,  la Rete G2 – Seconde Generazioni, un network di ‘cittadini del mondo’ provenienti dalle più disparate parti del globo, con l’obiettivo ben definito di lavorare insieme per raggiungere due punti fondamentali: i diritti negati alle seconde generazioni senza cittadinanza e l’identità come incontro di più culture.

    A differenza di altri Paesi, come gli stessi Stati Uniti, nascere in Italia non basta per essere considerati cittadini italiani e, dunque, per avere la cittadinanza. Occorre perlomeno dimostrare di essere residenti da almeno dieci anni: un requisito che, nonostante sia solo il punto di partenza,  incontra costantemente un’infinità di problemi burocratici nell’espletazione delle pratiche per ottenere la cittadinanza italiana. Ed è proprio al superamento di questi ostacoli, che non permettono alle seconde generazioni di vivere il proprio Paese come gli altri coetanei, che la Rete G2 lavora senza freno.

    La maggior parte dei membri della Rete è cresciuta nella Capitale, ma mantiene un dialogo costante con seconde generazioni di altre città italiane, come Milano, Prato, Genova, Mantova, Arezzo, Padova, Napoli, Bologna, Imola e Ferrara, che hanno chiesto di essere parte del network G2. Attualmente, l’intera rete nazionale riunisce ragazzi e ragazze dai 18 ai 35 anni, originari di diversi Paesi: Filippine, Etiopia, Eritrea, Perù, Cina, Cile, Marocco, Libia, Argentina, Bangladesh, Capoverde, Iran, Sri Lanka, Senegal, Albania, Egitto,Brasile, India, Somalia, Ecuador e altri. Punto d’incontro, comunicazione e scambio d’informazioni accessibile a tutta la rete è il sito web di Rete G2 (www.secondegenerazioni.it), nato nel 2006 proprio per mettere in contatto le seconde generazioni presenti in tutte le città italiane, al cui interno è presente anche un Blog e un Forum di discussione.

    Nello stesso anno sono stati realizzati i Video G2, anche questi strumenti collettivi di comunicazione per discutere di diritti, identità, amarezze e curiosità di una nuova generazione. Il primo video realizzato dal network ha vinto l’edizione 2006 del Premio nazionale Mostafa Souhir “per l’originalità dello spunto e per essere espressione riuscita del protagonismo nel mondo della comunicazione da parte delle giovani generazioni”. Mentre il Ministero della Solidarietà Sociale, per una campagna di comunicazione nazionale riguardante le seconde generazioni, nel 2007 ha commissionato alla Rete G2 uno spot audiovisivo e radiofonico basato sul secondo video, “Urla G2: Forte e Chiaro”, realizzato da G2 in collaborazione con la regista ecuadoriana Maria Rosa Jijòn.

    Sempre nel 2007, G2 ha ideato e realizzato un originale strumento di comunicazione: il Fotoromanzo G2, per promuovere una modifica della Legge sulla cittadinanza italiana (Legge n. 91 del 1992) per renderla più aperta nei confronti dei figli di immigrati nati e/o scolarizzati in Italia. Nel novembre dello stesso anno, alcuni rappresentanti della Rete G2 hanno consegnato nelle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una copia del Fotoromanzo e una lettera. Il Presidente ha accolto con favore le parole e l’appello della Rete G2 dichiarando che “la legge è troppo restrittiva, bisogna aprire canali nuovi di accesso alla cittadinanza italiana per tanti ragazzi e tanti giovani, figli di immigrati”.

    Nel 2008 la Rete G2 ha ideato e curato la trasmissione radiofonica “OndeG2”, in onda dal 15 febbraio su Radio Popolare Milano e a livello nazionale su Popolare Network, i cui contributi posso essere ascoltati anche direttamente sul sito della Rete. Di recente ideazione, anche la raccolta musicale “Straniero a chi? Tracce e parole dei figli dell’immigrazione”, volta anch’essa a sostenere la Campagna G2 di riforma della legge sulla cittadinanza italiana. Raccolta realizzata in collaborazione con il ministero della Solidarietà sociale e con la casa discografica Gridalo forte records.

    Pur rimanendo la modifica della Legge sulla cittadinanza la punta di diamante dell’intera battaglia G2, recentemente la Rete ha dato ampio spazio, nelle proprie argomentazioni, ad altri tipi di problematiche di pari importanza. Le classi separate ad esempio, altresì definite ‘ponte’, ossia le aule ove inserire i ragazzi provenienti da famiglie immigrate, di origine ‘non autoctona’. Un processo che rischia di alimentare ulteriormente quella pericolosa intolleranza verso il ‘diverso’, lo ‘straniero’. Ma anche il crescente riconoscimento, da parte della popolazione italiana, dell’immigrato come un malessere sociale. E non occorre neanche tornare indietro fino all’11 settembre del 2001 per rendersi conto di quanto l’intolleranza verso lo straniero sia in costante aumento. Basti pensare ai recenti episodi di razzismo contro la giovane liceale di Varese, spintonata e insultata dai suoi compagni di scuola, perché dalla pelle nera. O un altro episodio, che in modo particolare si ritrova a fare da triste testimone di questa triste realtà: l’uccisione di Abdul Guiebre, chiamato familiarmente Abba dai ragazzi della G2, colpito a sprangate fino alla morte per aver rubato una manciata di dolci. Un giovane di seconda generazione con tutto un futuro davanti, ucciso per mano della paura del diverso.

    Oggi, dicembre 2008, le battaglie in corso sono ancora tante, ma l’obiettivo comune rimane lo stesso. “Cerchiamo di ribadire ogni giorno, in ogni attimo della nostra vita il diritto ad essere riconosciuti cittadini e non degli italiani col permesso di soggiorno”. Mohamed Tailmoun, Portavoce della Rete G2, nella lettera al Presidente della Repubblica in occasione della giornata di celebrazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

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