Lo conobbe nel 1993 e le cronache rosa raccontano che fu subito amore. Il suo Luciano però era sposato. Questo per la semplice e timida Nicoletta Mantovani significa presto un groviglio di critiche, curiosità, forse dubbi.
Ma il sogno si realizza nel 2003 e la coppia raggiante convince il mondo intero. E’ un amore vissuto nel canto quello di Luciano Pavarotti e Nicoletta, anche il pop ed il rock entrano nella vita del tenore e con “Pavarotti & Friends” magicamente i più grandi di tutta la musica lo affiancano. Sono in tanti: Bono, Liza Minelli, Zucchero, Eric Clapton….
Poi una delle pagine più tristi del mondo della lirica, la morte di Luciano Pavarotti nel 2007. Ricominciano i sospetti, le polemiche, battaglie per l’eredità per la giovane vedova, ma lei non si scoraggia e continua sulla strada di Luciano.
E’ è ancora musica, fonda una fondazione e decide di cercare ed aiutare nuovi cantanti nel nome del suo Luciano, sperando forse di trovare un altro Luciano Pavarotti.
Il ricordo del Maestro Pavarotti si perpetua nel sostegno a giovani talenti e attraverso grandi eventi, come la mostra che ha avuto luogo al Vittoriano di Roma, inaugurata dal Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, e il memorial svoltosi a Petra, in Giordania, in collaborazione con la Principessa Haya Bint Al Hussein, alla presenza della regina Ranya e di numerosi artisti, dignitari e personalità internazionali.
Nicoletta Mantovani porta un esempio del lavoro di questa fondazione anche a New York ,con un evento speciale.
L’abbiamo raggiunta per saperne di più a pochi giorni dalla serata newyorkese. Con entusiasmo risponde ad alcune nostre domande.
Belcanto è una produzione con la Luciano Pavarotti Foundation.
Come è nata questa idea?
Ho conosciuto Luigi Caiola, manager di Ennio Morricone, che con la sua società ArsLab è il produttore di questo evento. Lo stile Belcantistico era molto amato da Luciano ed egli è tuttora considerato un insigne rappresentante di questo stile. Luigi aveva in mente di dare una forma scenica a questo tipo di musica ed il connubio, la possibilità di lavorare insieme, è quasi venuto da sé.
Come sarà questo spettacolo newyorkese? Ci può anticipare qualcosa?
BELCANTO rappresenta una panoramica della" stile belcanto ", da Monteverdi al pop contemporaneo, passando per le più belle arie di tutti i tempi come "Una furtiva lagrima", "Che gelida manna" e molti altre ancora. Il concerto (con orchestra dal vivo) sarà completato da scenografie suggestive, ci saranno momenti speciali dedicati a Luciano, in particolare ricordando il suo impegno e la dedizione per i giovani.
Canteranno giovani talenti selezionati dalla Fondazione Luciano Pavarotti. Quanto è stata difficile questa selezione e cosa rappresenta per lei questo impegno?
Per la selezione sono sempre affiancata da veri esperti, cantanti e direttori di orchestra; oppure partecipo alle fasi finali di concorsi e audizioni indetti da altri enti musicali. La selezione è sempre carica di pathos, sapendo quanto impegno i ragazzi mettano in questi appuntamenti, e con quanta speranza affrontino l’impegno di fronte alle commissioni esaminatrici. Tuttavia, valutare il merito ed il talento è la chiave essenziale per fare svolgere questa imprescindibile selezione seriamente. Le raccomandazioni qui non esistono, va avanti chi se lo merita.
I giovani. Come vivono quest’esperienza. Può raccontare qualcosa?
I giovani la vivono con grande serietà ed impegno, e certo con tanta emozione. Trovarsi su un palco sapendo di poter partecipare ad eventi in memoria di Luciano, sotto l’egida della Fondazione che porta il suo nome, è per loro motivo di grandissimo orgoglio. Luciano è per loro l’icona, il mito; è sinonimo di successo ma anche si impegno e determinazione: sanno bene che la chiave del suo successo è frutto parimenti di talento e volontà.
Quanti cantanti finora sono stati lanciati dalla fondazione Pavarotti? Oggi è più difficile fare carriera secondo lei?
Nei cinque anni di attività della Fondazione abbiamo audito quasi 500 nuove voci e siamo riusciti a coinvolgere circa 50 cantanti nei nostri eventi, che fossero concerti, recital, mostre o special happening. Molti di loro, dopo le performance con la Fondazione, hanno cominciato a girare i teatri del mondo, hanno trovato un agente che li rappresenti e, soprattutto, hanno continuato a studiare e progredire. La Fondazione non è un’agenzia, non abbiamo la pretesa di costruire la carriera di questi artisti, vogliamo dare loro un’opportunità, aprirgli una porta, poi devono camminare sulle proprie gambe. L’ammonimento che diamo è di non smettere mai di studiare, proprio come ha fatto Luciano.
Lei una volta ha detto che Luciano Pavarotti ha studiato fino all’ultimo giorno della sua vita. Forse parte proprio da qui il vero insegnamento che si può dare a questi giovani?
Certamente sì. Anzi questo è proprio il fulcro della nostra attività: la Fondazione non ha insegnanti, i ragazzi che selezioniamo hanno propri precettori ed un corso di studi già delineato. Noi offriamo loro opportunità seguendo, però, una precisa filosofia, una direzione, la medesima che Luciano ha sempre indicato ai propri allievi: mai considerarsi arrivati, mai smettere di studiare, di perfezionarsi. Non basta arrivare in alto, occorre avere l’umiltà e la dedizione per restarci il più a lungo possibile.
Mantenere la memoria del Maestro non è difficilissimo, ma ‘educare’ all’opera forse si. Come viene accolto nel mondo questo vostro impegno?
La Fondazione cerca di educare all’amore per l’opera, la musica e la cultura tutta. Questo è stato l’auspicio di Luciano per tutta la vita, riuscire a coinvolgere le giovani generazioni e far amare un genere di musica che non doveva essere considerato elitario e per pochi ma, anzi, patrimonio comune e “popolare”, nel senso più inclusivo del termine. Luciano nei suoi concerti nei parchi e nelle arene era riuscito a radunare folle oceaniche, spesso un pubblico molto trasversale ed eterogeneo, anche per età, ricordo che i giovani erano sempre tantissimi. Questo è uno degli obiettivi che si pone la Fondazione ed è sempre accolto molto positivamente, anche perché oggi non ci sono enti o istituzioni che promuovano adeguatamente la cultura.
Come racconterebbe in sintesi l’amore di Luciano Pavarotti per New York. Come viveva la sua italianità qui?
Luciano è spesso stato definito Ambasciatore della nostra cultura nel mondo e gli Stati Uniti – New York in particolare – hanno rappresentato una seconda casa per lui ed hanno avuto un ruolo di primo piano nella sua carriera, segnando debutti importanti e tappe fondamentali. New York era una città che Luciano amava per il suo essere aperta, sempre prima nelle tendenze e nei cambiamenti, “l’aria nuova tira sempre prima a New York”. Gli italiani qui sono molto amati, come pure l’opera: Luciano rappresentava l’incarnazione e la sintesi di queste due grandi passioni.
L’italianità era vissuta soprattutto a tavola… c’erano sempre prodotti freschi italiani sulla nostra tavola; molti amici americani sono stati iniziati alla buona cucina nostrana proprio frequentando Luciano, che spesso si metteva ai fornelli per loro.
Può provare ad immaginare un commento che Luciano Pavarotti farebbe sul lavoro della Fondazione se potesse?
Credo che Luciano sarebbe felice che oggi la Fondazione prosegue l’attività che egli ha impostato… cerchiamo di fare ciò che lui non ha avuto il tempo di compiere. Luciano amava i giovani, voleva dar loro tempo e consigli, condividere la sua esperienza e passione: questo è il nostro intento e credo che Luciano ci guardi sorridendo.