Articles by: Francesca di folco

  • Fatti e Storie

    In visita al Vittoriano per ricordare quando gli altri eravamo noi…

    In visita al Vittoriano per ricordare quando gli altri eravamo noi…  

    2011, anno delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Nell’ottica di una riscopertanazionalità, i-Italy si propone un viaggio nelle memorie degli italiani d'America, in un excursus attraverso il Mei, Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana al Vittoriano come opportunità di riflessione sulla storia, l’attualità ed il futuro dell’essere e del sentirsi stranieri oggi nel Belpaese.
     

    "Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani", l’impetopatriottico di Massimo D'Azelio campeggiaall'ingresso del Mei, Museo Nazionale dell'Emigrazione Italiana e accoglie i-Italy in un scorcio di fine dicembre, in cui la visita al complesso del Vittoriano nella Capitale svela l’unificazione d’Italia non come un fatto circoscritto ad una data storica, ma un lungo e faticoso processo.
    Se i Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II hanno “fatto l’Italia”, “a fare gli Italiani” hanno contribuito anche i milioni di emigrati che, lasciando il proprio paese durante la sua unione politica, hanno portato in'Mericavalori e tradizioni, li hanno messi in relazione, con diversi stili di vita, usi e costumi statunitensi, creando nuove identità, appartenenze e generazioni bi-nazionali.
     
    Partiti come veneti, lombardi, napoletani o siciliani i nostri connazionali si sono scoperti soprattutto “italiani”, capaci di ridisegnare nuovi legami con il paese e la regione natia.

    L'excursus di i-Italy attraverso Mei è un tuffotra i ricordi...
    Scatti in bianco e neroripercorrono i lunghi mesi di traversate verso gli States, si snodano tra le memorie di sbarchi nel porto di Ellis Island a “Nuova York”... ritraggono i primi italians di stanza a Manhattan...
    Gli italiani nella Big Apple sono operai, carpentieri, manovali...
    Dalle cronache del tempo emerge una fisionomia variegata, ma che, di fatto, appartiene alle lower classes...
    Donne e bambini vivono in condizioni austere, senza fissa dimora o stipati in camere-dormitori che diventano luoghi di lavoro abusivo...
    I nuovi arrivati s'inseriscono con difficoltà nelle classi sociali newyorkesi: la maggior parte dei migranti sa a malapena parlare italiano, a volte solo il dialetto stretto di provenienza, e fatica terribilmente ad assimilare la nuova lingua.
     
    Ambientarsi, farsi accettare, mettere a frutto le proprie capacità... sono i dilemmi che più stanno a cuore agli Italians, ricavarsi varchi sociali e spazi lavorativi dignitosi nell'americanità d'inizio '900, le mete più ambite...
     
    Il pensiero s'intristisce alla vista di alcuni comunicati sui nostri connazionali...
    Per il Governo sono “Wop, Without Official Papers o WithOut Passport”, che echeggia l'italiano "guappo", a sottolineare che moltisono senza documenti...
    li apostrofano dagger, pugnale... perché "infimi, litigiosi, violenti"...
    ancora bat… perché "sono mezzi bianchi e mezzi neri, così come i pipistrelli sono mezzi uccelli e mezzi topi"...   Sono “il  popolo dello stiletto...”
     
    Rapporto dell'Ufficio per l'Immigrazione del Congresso Americano - Ottobre 1912
    Gli fa eco l'influenteHarper's Weekly, settimanale newyorkese del tempo, dando voce gli interrogativi dell'American middle e high class sulla concezione au pair Italians/Nigger  
    "Davvero gli italiani non hanno sangue nero nelle vene? Sono scuri di pelle...i loro bambini giocano con i figli dei neri, le donne si scambiano aiuto, gli uomini lavorano fianco a fianco...
    Gli italiani vivono con i neri, non rispettano la separazione delle razze…”
     
    Il virtual travel di i-Italy nel percorso espositivo del MEI disegna una mappa a luci ed ombre degli italiani nel Nuovo Mondo...dagli sproloqui verbali agli atti di razzismo il passo è breve...
    Il mondo cattolico d'oltreoceano, retto dalla comunità irlandese, considera il culto religioso degli italiani "pagano, di fede ignorante, quasi blasfemo", interpreta le processioni in cui le statue sfilano in mezzo ai banchi delle merci come "manifestazioni a metà tra sacro e profano", convenendo che "bisogna evitare agli italiani l'ingresso nelle chiese, che se ne vadano a pregare fra loro"...
     
    Il clima di aperta ostilità scandisce un excursus di tappe dolorose...
    Il 14 marzo del 1891 a New Orleans con l'assassinio del sindaco, che in punto di morte pronuncia la parola "Latins" latini, si scatena la caccia agli italiani che, anche se scagionati, porta una folla di 20.000 citizens al prelievo nelle carceri e all'uccisione di 11 nostri connazionali...
     
    Insoluta è la strage avvenuta a Calumet, Michigan, dove la notte di Natale del 1913, gli operai delle miniere dei dintorni, in sciopero da mesi, sono riuniti per una grande festa organizzata nella sede della locale Società di Mutua Beneficienza Italiana, conosciuta in città comeItalian Hall.
     
    Scagnozzi mandati dai proprietari delle miniere, salendo al secondo piano dello stabile, scatenano il panico urlando "Al fuoco!". La folla in fuga, trova le porte sbarrate dall'esterno dagli organizzatori di quello che si rivelò essere uno scherzo criminale.
    Sulle fatal stairs, stipate nella ressa,  rimasero prive di vita 73 persone.
     
    Woody Guthrie con la sua celebre1913 Massacre omaggiò le vittime, così come Bob Dylan usò la melodia della canzone di Guthrie per il suo personale tributo alle stesse e al maestro in "Song To Woody".
     
    Scorrono frammenti di vite tra i meandri del MEI al Vittoriano...
    Il clima si surriscalda con l'attentato del 16 settembre 1920 a Wall Street attribuito all'anarchico italiano Mario Buda, che riesce a tornare in Italia, ma che genera ondate xenofobe nei confronti degli italiani in America, come Sacco e Vanzetti.

    NaturalizzatiNic & Burt,  pugliese il primo, piemontese il secondo, arrestati nel settembre del ‘20 con l'accusa di avere commesso una rapina a South Braintree, Boston, subiscono un processo dalle prove irrisorie, che fa da cornice alla campagna repressiva contro lasovversione voluta dalla classe dirigente statunitense, il cui verdetto sembra già scritto: i due sono condannati a morte, divenendocapri espiatoridel momentovenato di profonda xenofobia.
    L'onda emotiva seguita all’esecuzione di Nic & Burtscatenò reazioni negli ambienti della Public Opinion statunitense contribuendo a cambiare atteggiamento nei confronti dell’Italian Community.
     
    Il percorso espositivo del MEIsi snoda in volti simbolo del riscatto sociale...
    In un clima di re-birth i nostri emigrati cominciano ad assumere posizioni di rilievo:Angelo Rossi è eletto sindaco a San Francisco eFiorello La Guardia acclamato Mayor of New York.
    L'Italian compensation passa attraverso Vito Marcantonio, avvocato italo-americano, braccio destro di La Guardia nella corsa a sindaco: quando questi vinse la carica, Marcantonio gli successe come deputato alla Camera dei Rappresentanti nel distretto di East Harlem.
    Da law-leader, Marcantonio punta alla coesione delle folks, crea alleanzetra le minoranze, dando vita a melting-pot workers.   
     
    L’Italian social ransompassa perCarlo Tresca, giornalista, editore de Il Germe, Il Proletario, La Plebe e Il Martello, pubblicazioni ufficialidell'Italian Socialist Federation.
    Attivo nella denuncia di condizioni disumane di lavoro, Tresca mobilita organi di stampa per veicolare l’attenzione anche delle High Classes sugli scioperi dei connazionali prodigandosi per ottenere working rights equi e dignitosi.
     
    Il sostegno agli amici Giuseppe Ettor eArturo Giovannitti, incarcerati con false accuse di omicidio, vale a Tresca  il ruolo di leader nellaIWW, Industrial Workers of the World, la più influente unione sindacale dei lavoratori.
     
    Così anche Pietro e Maria Botto, precursori del Movimento Sindacale Italiano nel settore tessile che ospitano la stessa IWW nella loro casa, oggiAmerican Labor Museum, durante lo storico sciopero del ’13.
     
    Young missionary danno vita alle società di mutuo soccorso come laHouse Harlem, centro di assistenza costruito nell'omonimo quartiere. L'italo-americana,Rose Pascale, è tra i pionieri della social assistance nel popoloso Harlem di New York dove fonda la "scuola della minestra", service centre con mansioni di asilo nido, doposcuola per bambini, scuole di cucito e cucina per le donne e corsi per imparare l'inglese e ottenere cittadinanza per gli uomini.
    Ricordi, memorie di un passato a luce ed ombre dei nostri connazionali, realtà di re-birth della comunità italo-americana, riscattatasi e solo dopo sacrifici davvero apprezzata...
    L'excursus tra i pannelli del MEI è flash tra epochee luoghi…
     
    Up and Downad intermittenza aventi per protagonisti i nostri connazionali all’estero sono thinking bridge che ci proiettano nell'Italia odierna, dove proprio alla lucedegli eventi appena citati, è d’obbligo una riflessione su come episodi di razzismo stiano prendendo piede…
    Gli ultimi scampoli del 2011 son stati fin troppo eloquenti in termini di termometrorazziale...
    Una poco più che adolescente torinese alle prese con la sua "prima volta",  per mascherare l'accaduto alla famiglia, ha incolpato un rom del vicino campo nomadi, di averle usato violenza, scatenando l'ira di chi attende solo la goccia che fa traboccare il vaso per scagliarsi contro i diversi, già per questo colpevoli.
     
    Non è retorica chiedersi cosa accada nella civilissima Torino... come possa un'adolescente, seppur impaurita, arrivare ad incolpare rom per un violenza mai subita... e cosa può scatenarsi nella mente dei nostri connazionali, che decisi a  farsi giustizia da soli, si sostituiscono alle forze dell'ordine, e con un raid punitivo mandano a fuoco un intero villaggio rom...
    Nella multietnica Firenze, lo scorso 13 dicembre, si scatena la caccia al nero: Gianluca Casseri, 50enne ragioniere pistoiese, fa fuoco nel mercato di Piazza Dalmazia. Il bilancio è shock puro: Mor Diop, 54 anni e Modou Samb, 40, due ambulanti senegalesi, restano a terra, feriti a morte dalla follia omicida del simpatizzante neonazista.
     
    Riaffiora il ricordo della Florence mosaico di diversità, crogiuolo di razze, mix di culture...
    Da sempre la città dei Medici è Capitaledell'accoglienza dei mecenati verso artisti nazionali e stranieri, eppure il razzismo pare esser integrato ancor più delle diverse comunità straniere che ospita...
     
    Nel clima nell'Italia ancora festeggiante i 150 d'Unità nazionale, paure, vere o presunte, xenofobie, rivelate o mascherate nella cronaca del Belpaese sono l’evidenza che tanto c’è ancora da costruire per un’Unificazione che includa l’Integrazione come requisito di Italianità…
     
    Il Presidente della Repubblica è tornato sul tema immigrazione nel tradizionale messaggio di fine anno in cui ha invitato a "lasciarsi alle spalleanacronistiche chiusure e arroganze nazionali", a costruire un futuro che "guardi ad integrazione europea". Napolitano si augura che "in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati perché la politica deve dare una risposta efficace per evitare che i migranti crescano stranieri o con diritti dimezzati, senza potersi integrare".
     

  • Arte e Cultura

    Cities of New York. In mostra il Memorial di 9/11 a Roma


    Ognuno di noi ricorda con fervida lucidità cosa stava facendo l'11 Settembre 2001, nel frangente dell'attacco al cuore degli States. E ha ben consolidati nella memoria i momenti che ne seguirono. Dieci anni dopo, nel caldo pomeriggio estivo del 10 Settembre, raggiungiamo la Centrale Montemartini di Roma teatro di “Cities of New York”, per riflettere sulle viteperse nel giorno in cui il mondo non sarebbe più stato lo stesso e meditare sulle conseguenze.

    Cities è introdotta da un evento-cornice, "Rebirth", concerto nato dall'intento di coinvolgere anche l'universo della musica classica nelle celebrazioni. L'idea di Ludovica Rossi Purini, presidente per la Compagnia Musica in Roma, di inserire il September Concert, dal 10 al 12 Settembre, con una tre giorni di kermesse per il memoriale, è di grande suggestione.

    Le note di Lucille Chung e Alessio Bax, marito e moglie residenti nella Grande Mela, regalano una quattro mani al piano che ben si sposa con lo spirito dell’evento, caricandol'atmosfera di emozioni.

    Il sound costellato da passional deja vu introduce i-italy in Cities of New York.

    L’esposizione si snoda in un percorso di grande impatto con istantanee scattate nella data apocalittica, ma si stempera arricchendosi con molteplici visioni di New York, interpretate da artisti contemporanei. La cittàche non dorme mai è fonte d’ispirazione inesauribile che si riflette in un caleidoscopio di linguaggi espressivi differenti, suscitando riflessioni sugli aspetti intimi della megalopoli.

     
    Al pian terreno scorrono le istantanee, icone del giorno che cambiò i destini di tanti.

    Il guru newyorkese dello scatto, Allan Tannenbaum, che ritrasse John Lennon e Yoko Ono in posa, dieci giorni prima della scomparsa dell'ex-Beatles, immortala il crollo delle Twin Towers.            

    Frames dopo frames, il reporter fissa nuvole di fuoco, colonne di fumo, l'innalzarsi di vortici di terra e aria e il loro strapiombare al suolo, lasciando il vuoto nel World Trade Center. E’ la violenza del dramma che sgretola il cuore pulsante di Wall Street, in una sequenza fotografica che prorompe con un mutismo assordante nelle macerie.

    Lo sguardo cade poco più un là, dove, dai disegni ispirati a Ground Zero dell’americana Susan Crile, traspare atmosfera di dolorevariopinto.

    La forza vibrante di linguaggio astratto della drawner si trasforma in intensità d’espressione che, stile comics, rivela transitorietà e fragilità di un impero economico in cui le Torri sonogiganti d'acciaio e vetro protesi verso l’alto ma ridotti in ciminiere fumanti.

    La carrellata internazionale continua...

    Israeliano di nascita, americano d'adozione, Michael Ackerman, è naturalista per vocazione e si scopre fotografo impegnato:è ritrattista di emozioni. L'artista raccoglie, nell’intima preziosità di una sequenza di scatti, i volti delle vittime dell’11 Settembre. Ackerman guarda con la sua Polaroid al sacrario dei dispersi in un face to face in cui emergono ritratti e profili dei missing del World Trade Center.

     
    Saliamo al quinto pianodella Centrale. Cities of New York si snoda in un labirinto di nomi di rilievo del panorama italiano.

     
    Non esistono barriere né confini nella New York di Luciano Bobba. La City è armonia allo stato puro...
    L'artista trasforma Manhattan in un osservatorio ideale per cogliere scenari di vita eterogenei nei pannelli, spaccati di esistenze in movimento in targhe, brio febbrile nelle insegne, attraverso rimandi di riflessipubblicitari, in un gioco di quinte sovrapposte...

    Nell'idea di sfruttare superfici specchiate l'autore svela una realtà che si sdoppia,mutando senza sosta. Nulla a che vedere con artifici o manipolazioni: è l’autentica metafora della vita, mai univoca. Allo sguardo di Bobba, New York appare teatro di strada mutevole del vivere quotidiano, popolata di figure evanescenti,pure ombre che sfumano nell'indistinto.

    Le trasparenze della City riflettono volti sensuali di donna… sguardi di bimbi dietro vetri... chioschi di hot dog come status symbol del take-away.

    L'essenza intima e poetica, inquieta e fulminante di questa megalopoli appare e scompare nell'interpretazione personale di Bobba. Le suggestioni s'ammantano di quel fumo che si mescola alla nebbia, creando un'atmosfera magica e irreale, che sa di mistero. E rivela una Big Apple caleidoscopica e sfrontata, dai cambiamenti che sorprendono perché, pur delineandosi, lasciano inalterati skyline nella City e nature of new yorker public relations.

    L'excursus di i-italy in Cities continua... “incontriamo” l’arte di Angelo Bucarelli.

    "Buc", per gli amici newyorkesi, poliedrico art creator, nello stacco di dieci anni di stanza a Manhattan, a cavallo degli 80s, è stato allievo dei più importanti creativi della Grande Mela, da Richard Pousette Dart ad Armando Pomodoro, da Beverly Peppers a Larry Rivers, e art director perArtForum International, prestigiosa rivista newyorkese.

    Per Buc il punto di partenza è una gigantografia delle Torri Gemelle, scattata nella seconda metà degli anni ‘90, ora ingrandita e trasformata in una grande Box of Memory.

    L'artista da vita ad un'art installation che è magia in sé: la scolpisce con il quotidiano, l'arricchisce con oggetti d’uso comune che hanno popolato le Torri quando erano brulicanti di vita.
    Per preservarne memorie e ricordi. In un viaggio evocativo nel vissuto altrui ...

    Giusy Caltagirone, per immortalare la City nei sui scatti,s’avvale dellamusica come compagna di scatti... L’artista insegue con la fotografia l’incanto del jazz che circola come vortice a Manhattan.

    Dal soul vibrante di questa cantante dello scatto al sound of silence di Gabriele Croppi il passo, sembra un paradosso, è breve...

    L'artista carica di poetica il fil blanc/noir di scatti in un andirivieni di deja vu.

    Cosa accade alla Big Apple?

    Di folle assordanti a Grand Central,flashdi taxi newyorkesi in corsa, scorci febbrili di Times Squarenon rimane più nulla...

    È sceso il silenzio, le strade si sono svuotate. Misteriose presenze violano l’intimità dei district, come attori su un palco senza un copione da recitare. E dietro di loro, si dipana la scenografia di una città intrisa di sentimento, ma dagli spazi e dai tempi dilatati.

    L’urban style del fotografo cristallizza la realtà, quasi una sospensione del tempo nello spazio.
    Croppi ci svela il suo think tank: l’effetto del bianco/nero e le panoramiche dall’alto non sono indice di scissione dalla vita metropolitana, ma, al contrario, simboleggiano il distacco dal “caos sociale” finalizzato a raggiungere l’intimità dei luoghi…

    Un coinvolgimento senza distrazioni, per assimilarne meglio la natura.

    Passeggiamo tra le istantanee di Olimpia Ferrari.L'autrice filtra memorie e sentimenti nella sacralità delle chiese newyorkesi.

    Qui l’“ascolto” attento di paesaggi architettonici e spaziinterni richiamano flashback dipensieri e riflessioni, come sfaccettature di spiritualità.

    L'excursus di i-italy si chiude con le istantanee di Moreno Gentili, rivisitazioni di scorci newyorkesi, in cui il photoreporter spiazza cuore e mente.

    Su tutte, l'impatto di Twin Towers, New York, 2001, scattata prima del maledetto 9/11, è un fulmine che squarcia il cieloancora sereno...    

    Gentili focalizza lo sguardo sul power photos, che con le ombre delle Torri Gemelle proiettate sulla città, fa percepire la teatralità spettacolare della megalopoli.

    La narrazione di scatti in bianco/nero immortala il simbolo del Potere retrò a Manhattan, in un vortice fotografico preludio, inconsapevole, di tragedia.

    Per coronare il Memorial dell'11 Settembre, Roma ha ospitato la Prima Italiana del film Rebirth, la sera del 12 settembre all’Auditorium Parco della Musica. Realizzato dal regista Jim Whitaker, in partnership con CBS Entertainment e con la colonna sonora firmata da Philip Glass, Rebirth, è stato presentato al Sundance Festival nel gennaio scorso ed accolto dal pubblico con una standing ovation.

    Il reportage, iniziato l'11 marzo 2002, segue con l'occhio attento di 14 telecamere puntate su Ground Zero, il susseguirsi della ricostruzione, intervallata dal racconto delle vite di cinque sopravvissuti.

    Il docu-film non è resoconto della nuova Freedom Tower. Va ben oltre la cronaca del dolore.

    Rebirth esprime la tempra di chi, sopravvissuto, ha scolpito nell’anima il ricordo del dramma, porta addosso i segni della tragedia e se ne avvale come source of strength per reagire.

    Desideri di rivalsa hanno lasciato spazio alla pena per le vittime. Dalle ceneri della catastrofe s’innalza la Vita. Come miracolo di Rinascita di esistenze non piegate dal disastro delle Torri.

    Salutiamo la curatrice della mostra Mariateresa Cerretelli che qualche giorno dopo ha gentilmente concesso un'intervista ad i-italy.

    Ogni anno Roma ricorda l'11 Settembre. Com'è nata l'iniziativa di "Cities of New York"?

    La collettiva era in progetto già dal 2010. Per omaggiare le vittime degli attentati nell'anniversario del crollo delle Torri.
    Con Ludovica Rossi Purini, presidente per la Compagnia Musica in Roma, si è pensato di realizzare un evento-cornice che coinvolgesse anche l'universo della musica classica. Da qui l'idea di inserire il September Concert nella tre giorni di rassegne per il memoriale, il passo è stato breve...

    L'Art Exhibition dà spazio a tredici tra fotografi, installatori e fumettisti. Come sono stati selezionati gli artisti?

    In “Cities of New York” gli art creator svelano il proprio estro. Ogni artista interpreta Manhattan sotto aspetti diversi.

    Dalle evanescenze di Luciano Bobba ai chiaroscuri di Gabriele Croppi, ognuno immortala the City con stili propri e unici...
    Dalle musicalità in scatti di Giuseppina Caltagirone alla spiritualità delle cattedrali celebrata da Olimpia Ferrari, ognuno sente la Big Apple, restituendoneemozioni e suggestioni...
    Nella Box of Memory dell’italianissimo Buc e in Twin Towers di Moreno Gentili siamo proiettati nel vivo dell’11 Settembre... dove ansie e speranze prendono forma con gli statunitensi Allan Tannenbaum e Michael Ackerman...

    Che differenze/somiglianze ci sono tra la fotografia europea e quella americana?
    I due stili hanno in comune il rigore lavorativo, ma cambiano gli scenari tra la fotografia di viaggio in Europa e negli Stati Uniti. E’ proprio la peculiarità dei territori a stelle e strisce a creare differenze. Gli artisti made in Usa sperimentano un senso di solitudine davanti a soggetti vasti e “vuoti”, come uno spaesamento di fronte all’enormità dei luoghi… Il fotografo europeo lavora in uno stato metafisico in cui regna una sensazione di tempo sospeso. Gli europei rappresentano il mondo recuperando lentezza dello sguardo.
    Cogliere l’anima dei luoghi, intuirne l’essenza, proietta l’artista oltre la capacità percettiva del reale. Quasi a dire “più di questo non si può vedere…”

    In "Cities of New York" gli scatti evocano momenti di morte, ma sono comunque riflesso di vita...

    Le cronache dell'11 Settembre sono un colpo al cuore.

    L'odio fondamentalista che ha scatenato l'attacco. L'atto terroristico in sé, con i quattro aerei dirottati e i tremila morti. Le conseguenze: il melting pot di convivenze interne alla Nazione, seppure con episodi limitati d'intolleranza verso l'Islam, ne ha risentito...Sul piano internazionale, gli esiti delle guerre in Afghanistan e in Iraq sono sotto gli occhi di tutti...

    Eppure New York ha saputo risorgere dalle sue ceneri... le 90 nazionalità coinvolte nel crollo delle Torri non hanno alterato la multietnicità della Big Apple. Capita di rado di sentire le genti unite nel dolore.

    In questa occasione dove la storia, non ancora tale perché troppo recente e fresca, è accaduto...


    L'arte in genere ed in particolare quella fotografica, può aiutare le vittime di violenza?

    L'arte è apertura per antonomasia. E' motivo di riflessione continua. L'idea stessa di affrontare le tragedie con il supporto sublime dell'arte è un atto liberatorio. Penso la Bellezza sia deterrente per contrastare la Violenza...

    L'art exhibition ne è la conferma. "Cities of New York" è la riprova che 13 tra Italian e American artists hanno messo a disposizione il proprio estro artistico per sostenere le vittime. E' il loro modo di respingere il rancore, di opporsi alla sopraffazione del livore, di sconfiggere l'atrocità della morte. Si perché, celebrare le vittime degli attentati ne ricorda le storie, fa riaffiorare i vissuti, in un certo senso le riporta tra noi...

    In "Rebirth" si da voce anche ai parenti dei missing, che ricordano in prima persona i propri cari.
    Ecco il social sense of art che, oltre a combattere la tendenza all'oblio, si investe anche di un altro incarico: celebra la rinascita di New York City. Con "Rebirth" s'alternano momenti della tragedia a frammenti di ricostruzione. Devastazione della morte e continuità del life style della Big Apple. Scorci di Ripresa, spaccati di nuova Era.

    E' la vita che deve tornare svettante...





  • “Cities–Places Visionaires”. In mostra il fascino delle Metropoli, teatro e ritmo dell'identità umana

    E' in un caldo pomeriggio d'autunno, il 28 Settembre, che guru dell'architettura e maestri della fotografia internazionale si danno appuntamento per una convention d'eccezione all'Auditorium Parco della Musica di Roma. L'evento è di quelli da incorniciare. Riflettori puntati sulla Festa dell'Architettura in programma nella Capitale del BelPaese nell'Aprile 2010.

    A fare gli onori di casa è il Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2000, Paolo Soleri.

    L'architetto-artista, allievo di Frank Lloyd Wright, una vita trascorsa negli States a progettare costruzioni ecologiche, è fondatore della Cosanti Foundation e della città-prototipo Arcosanti, dove abita, nel deserto dell'Arizona. Il pluripremiato urbanista tiene a battesimo la Festa dell'Architettura: parla di rispetto dell'ambiente, dibatte problemi ecologici e sociali, spiega il concetto di arcologia, mix di architettura ed ecologia, legato al delicato equilibrio uomo-natura. Per Soleri l'obiettivo della Festa dell'Architettura è indicare “l'unica direzione praticabile nel futuro: attenzione all'uomo e al suo rapporto con l'ambiente naturale, vero, unico, irriproducibile patrimonio dell'umanità”.

    Evento cornice della Festa è “Cities–Places Visionaires”, collettiva promossa dal LAC, Laboratorio Architettura Contemporanea, curata da Camilla Boemio. “Cities” esplora l’architettura in itinere di città internazionali, contempla scorci emozionali di paesaggi industriali, svelando metropoli come prime donne assolute dell'urbanistica.
    Gli esperti promuovono la città come “strumento necessario all'evoluzione umana” e auspicano che l'esposizione “sensibilizzi i cittadini ad un maggior rispetto dell'ambiente e delle trasformazioni che l'architettura ha sulle città e sulle vite di tutti noi”.

    Alla collettiva partecipano alcuni dei più famosi fotografi europei:
    Marco Zanta, Gabriele

    Basilico, Michael Wolf, Stefano Graziani e Peter Schloer. C'è spazio anche per la video-art di Damir Ocko con “The end of the World” e Shaun Gladwell con “In a station of the Metro”.

    Passeggiamo tra gli scatti di questi maestri dell'arte contemporanea.

    “Cities–Places Visionaires” inizia con istantanee tratte da “UrbanEurope”, serie di Marco Zanta.  Le esperienze di lavoro in Europa, Stati Uniti e Giappone svelano l'estro cosmopolita dell'artista.

    Con “UrbanEurope” Zanta ci conduce da Helsinki a Lisbona, da Londra a Roma, lungo un percorso estetico-introspettivo tra le capitali europee. Obiettivo del viaggio? Scoprire architetture urbane, cogliere scelte stilistiche proprie delle città, definire simboli caratteristici delle metropoli per ipotizzare l'“identità Europea”.

    Camminiamo per strade di Londra, sbirciamo tra i palazzi a vetri di Manchester, ammiriamo sgargianti murales lungo le scalinate di Barcellona.

    Siamo rapiti dal fascino di queste istantanee: urbanistica dai toni accesi, pubblicità, scorci di edifici sembrano prender vita. Gli scatti esprimono il dinamismo di metropoli in corsa. Il risultato è un tuffo in capitali multietniche. I visitatori indicano vie, riconoscono posti, ricordano realtà già viste o vissute. Comunque condivise.

    Ci muoviamo tra monumenti di Berlino, intravediamo splendidi scorci di Valencia, osserviamo l'architettura di Bilbao.

    “UrbanEurope” è parte integrante e, nel contempo, riflette appieno lo spirito di “Cities-Places Visioner”. Zanta costruisce un paesaggio variegato e allo stesso tempo uniforme, poliedrico ma composito, cosmopolita e che racconta un’identità unica. Quella europea.
    L'idea del fotografo prende forma: “UrbanEurope” delinea i tratti di un'unica città che esiste, anche se frammentata, in diversi Paesi, in una dimensione condivisibile, europea appunto.
    Le affinità tra culture limano le diversità: le identità nazionali si fondono in un'unica città-Paese possibile. Per Zanta nasce la città-Europa.

    Il viaggio di i-Italy attraversa le capitali di “Cities–Places Visionaires” e fa tappa tra gli scatti di Gabriele Basilico, uno fra i più noti documentaristi europei. 

    Il fotografo-architetto partecipa alla collettiva esponendo una serie di sguardi su Berlino. Le istantanee sono il frutto di un'esplorazione urbana che ha come campi d'azione paesaggi industriali, aree edili, fabbriche delle periferia tedesca, come soggetto l'architettura di Berlino. L'istallazione mostra spaccati di palazzi dall'alto, in foto bianco e nero. L'occhio dell'artista vigila sugli eventi dall'esterno. L'impressione del primo impatto è un senso di isolamento, quasi di vuoto inteso come assenza di fattore umano. La domanda che ci suggerisce è “dove sono le persone?” e ancora “se i luoghi non sono abitati sono non luoghi?” .

    Un addetto ai lavori, forse critico d'arte si accorge delle nostre curiosità. Si avvicina e lo interroghiamo sull'arte di Basilico. La nostra guida ci spiga che “l'urban style del fotografo cristallizza la realtà, dà un senso di provvisorio, quasi una sospensione del tempo nello spazio. L'esperto rivela che “la tecnica del bianco/nero e le foto dall'alto non sono indice di scissione dalla vita, ma distacco dal “caos sociale”, finalizzato a raggiungere l'intimità dei luoghi...Un coinvolgimento senza distrazioni, per assimilarne meglio la natura”.

    Paesaggi industrie, fabbriche, aziende palazzi, da non luoghi in bianco-nero diventano luoghi vissuti.

    Gabriele Basilico, su incarico del Dipartimento di Fotografia del SFMOMA, San Francisco Museum of Modern Art, realizza la sua prima campagna fotografica negli Stati Uniti. Più di quaranta scatti tra la Silicon Valley e San Francisco.

    Ci colpisce il valore dell'estetica ma ancor più l'eredità morale che ci lascia questo architetto della fotografia. Per Basilico “l'arte nasce dal bisogno di trovare un equilibrio tra un mandato sociale, di cui spero essere testimone e la voglia di sperimentare linguaggi nuovi, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici".

    Il nostro itinerario nell'arte di “Cities–Places Visionaires” prosegue. Le tele si snodano lungo la sala.

    Gruppetti di visitatori attirano la nostra attenzione. Estimatori d'arte, semplici turisti. Tutti confabulano, scambiandosi commenti e osservazioni. Ci avviciniamo incuriositi.

    Fra la folla intravediamo varie foto: palazzi con spennellate rosa acceso, tratti di verde brillante. Edifici con balconi rosso fuoco disposi “a croce greca”. Ecco il motivo del vociferare: gli spettatori stanno ammirando scatti tratti da “Architecture of Density” di Michael Wolf.

    La personale è stata esposta a New York presso la Hasted Hunt Gallery nel 2004 e al Bryant Park.

    “Architecture of Density” ritrae un'urbanistica dai tratti asiatici, con essa Wolf ci conduce nell'affollata Hong Kong.

    Tedesco di nascita, americano d'adozione, Wolf cresce in California, frequentando gli ambienti della UC Berkeley. Nei dieci anni trascorsi in Cina il fotografo esplora la cultura asiatica, ricerca l’identità artistica-fotografica di luoghi-simbolo dell'est moderno, carpisce scatti da metropoli in corsa.

    Con “Architecture of Density” l'artista scopre che la monotonia urbana è scandita da dettagli umani. La regolarità delle geometrie cittadine è viva. Wolf indaga l'essenza dell'architettura residenziale. Il senso di plasticità, appena accennato, di luoghi disabitati degli ambienti asiatici, svanisce di colpo. Colori delle piante, confusione degli abiti appesi alle finestre, impalcature: l'irregolarità umana irrompe in edifici altrimenti tutti uguali.

    Ecco l'umanizzazione degli stabili. Il fotografo rileva lo “spirito umano” dalla “giungla urbana”. Dall'Asia agli States il passo è breve, Wolf ci affascina anche con scatti in notturna tratti da “Transparent City”, sua personale di Chicago.

    Grattacieli a vetri che sembrano specchi, edifici che si riflettono a vicenda, luci che inondano gli  interni degli appartamenti. Wolf ci presenta “la notte” di Chicago. Siamo incantati dal gioco di colori delle immagini. Le istantanee si nutrono dello scintillio delle stanze. L'artista immortala grattacieli come fossero gioielli animati..

    Negli scatti di Michael Wolf l’architettura urbana, nella città di Obama, si fonde con estetica.

    “Transparent City” incarna lo spirito di “Cities-Places Visionaires”: gli spettatori osservano, scrutano, spiano interni; quasi entrano nelle stanze illuminate a giorno, la sensazione è di far parte degli scatti. La trasparenza ci fa abitare nella vita notturna degli appartamenti. 

    Riflettiamo. Che c'è dietro tutto questo? Le trasparenze di Wolf testimoniano che le dicotomie pubblico/privato, rivelato/nascosto, emerso/anonimo si annullano: la vita di ognuno si svolge sotto gli occhi di tutti. Deve essere trasparente, pubblica, nota, indagabile.
    Wolf si interroga anche sul concetto di back-door: “entrare nelle vite degli altri attraverso la porta d'ingresso equivale a conoscere solo una parte della realtà: la versione migliore. Carpire le culture significa non accontentarsi dell'apparenza, indagare al di là del “già svelato”, andare oltre le “realtà ufficiali”. Temi di una mostra o calda attualità dell'Italian politics?

    Confermate le attese dei visitatori:  tra la folla ascoltiamo commenti. Per Maria, giovane architetto, Wolf colpisce per “la curiosità che suscitano i suoi scatti: è attento al dettaglio, valuta l'importanza del particolare. Luci, interni, persone nei grattacieli sembrano così veri da viverci dentro”. Per Chiara, fotografa, “le istantanee di Wolf hanno un'essenza spiccatamente personale. Vede cose ordinarie in modo straordinario. E' affascinante ammirare l'architettura dei grattacieli, dove, dietro la scansione geometrica, ripetitiva di finestre e cornicioni, si riesce a intravedere una mano o un volto che prendono vita in scatti di interni abitati”.

    Salutiamo la curatrice della mostra, Camilla Boemio, che qualche giorno dopo ho gentilmente concesso un'intervista ad i-italy.


    “Cities–Places Visionaires” è una collettiva composta di tante personali. Abbiamo visto tanti artisti dello scatto all'opera. Chi è il fotografo? 

    Le rispondo con un film. In “L’uomo con la macchina da presa” del '29 per il regista Dziga Vertov il fotografo è un esteta in movimento. L’artista coglie l’aspetto capillare della rapidità, intuisce il cuore pulsante dell'azione, vive l'essenza della realtà. Gli scatti permettono di vedere spaccati di esistenze lontane, altrimenti inarrivabili ai più. Conseguenza grandiosa della fotografia è che ci dà la sensazione di avere in testa il mondo intero, come antologia dell’immagini.
     
    Con “Cities–Places Visionaires” scopriamo che è possibile catturare brio, fugacità di Metropoli "in corsa". Perchè “fotografare” l'architettura?
    Una domanda, mille risposte. In primis “Cities” dimostra che costruzioni, edifici, grattacieli non sono blocchi di cemento senz'anima. Il dinamismo che esprimono lascia intuire il brulicare di vita al loro interno.  
    Inoltre fotografare l'architettura è un atto psicologico: “Cities–Places Visionaires” libera le città dal monotono, le rivisita in chiave eccentrica, inaspettata, trasfigurata, eclettica. “Cities” vuole fare sognare il visitatore: le mostre, come il cinema, spalancano ponti all’immaginario, offrono vedute sconosciute, ricchezze impalpabili. 

    Infine i fotografi, donano agli scatti atmosfera, forma, luce di una determinata architettura o di uno scorcio della città, con atti di non-intervento. In un panorama di eventi, si spostano con agilità e rapidità tali che è impossibile alterare la realtà.  Non c'è manipolazione.

     

    In “Cities–Places Visionaires” le immagini sono concentrate su scorci di

    città e nessuna ritrae donne e uomini. La presenza umana c'è solo nei due video...perchè questa scelta?

    La fotografia urbana, per sua natura, mette in primo piano le città. E' una fotografia di ricerca, esplora stili innovativi, enfatizza l'architettura inedita dei luoghi. Le metropoli sono protagoniste. L’uomo appare di rado e, quando accade, sempre come “labile contorno” alla scena. 

    Detto questo “Cities–Places Visionaires” è un'eccezione alla ragola. Nei video l'uomo è ripreso in metropolitane, strade, campi sportivi. Appare in spazi vitali della città. Luoghi di aggregazione. La presenza umana è ovvia, quasi scontata. Ma anche negli scatti di Zanta colori sgargianti  suggeriscono l'idea di palazzi abitati. Wolf fotografa panni stesi, luci accese, persone in relax tra le trasparenze dei giganti di Chicago! Il messaggio è chiaro: l'uomo c'è, esiste! Nei video la presenza umana si rivela, nelle foto si percepisce, s'intuisce ma spicca comunque nell'anonimato di una metropoli.
     

    Zanta ha esposto negli States. A Basilico è stato commissionata una serie sulla Silicon Valley. Wolf è tedesco, ma cresciuto in California. “Cities–Places Visionaires” ha subito il fascino dell'American Dream? Che differenze e/o somiglianze ci sono tra la fotografia europea e quella americana?

    I due stili hanno in comune il rigore lavorativo, ma cambiano gli scenari tra la fotografia del paesaggio in Europa e negli Stati Uniti. E' proprio la “qualità” specifica dei territori a stelle e strisce a creare la differenza. Gli artisti made in USA sperimentano un senso di solitudine davanti a soggetti vasti e “vuoti”, quasi uno spaesamento di fronte l'enormità dei luoghi. Il fotografo europeo lavora in uno stato “metafisco”, in cui regna una sensazione di tempo sospeso, quasi inesistente. Gli europei rappresentano il mondo recuperando lentezza dello sguardo. Ciò permette di cogliere particolari, di contemplare l'ispirazione che lo proietta oltre la capacità percettiva del reale. Quasi a dire “più di questo non si può vedere...”. 
    Basilico sostiene che “negli scatti alla Silicon Valley e a San Francisco ho trovato corrispondenze e analogie con l'Italia. Le “presenze familiari” in territori stranieri, attenuano il senso lo smarrimento di fronte al nuovo”.  
     

    Michael Wolf, noto come "il Tedesco d'America", in “Architecture of Density”, exibition newyorkese del 2004 espone scatti di skyscrapers di Hong Kong. In “Trasparent City” ritrae grattacieli di Chicago, elementi-simbolo dell'architettura statunitense..

    Il Museum of Contemporary Photography di Chicago e la Columbia College hanno commissionato “Trasparent City” a Wolf nel 2007. L'obiettivo? Enfatizzare l'ondata di nuova costruzione che ha investito Chicago. Rinnovare lo spirito di sperimentazione architettonica tipica della città. Wolf sceglie di fotografare gli amati skyscrapers, il cuore pulsante della megalopoli. E non stupisce. In America vita, amore, carriera...tutto s'intreccia tra le mura di questi colossi con l'anima. I grattacieli di Chicago per Wolf sono icone dell'American style, un mix di introspezione, dinamismo culturale e passioni dell'animo umano.

    In "Mnemosyne", sua esposizione precedente, lei ha lavorato con molti artisti di New York: Luis Gispert, Steven Klein, Richard Kern, Tony Oursler. Che valore ha l'arte fotografica nella Grande Mela?
    Dalle gallerie di Soho alle salette nascoste del Greenwich e dell'Est Village: tutti gli angoli di  Mahnattan svelano il carisma dell'arte visiva nella Grande Mela.
    Pittura, scultura, architettura, New York è sempre stata l'epicentro, l'espressione viva dei principali linguaggi artistici contemporanei. Qui il mito della fotografia è fulcro di sperimentazione creativa, intesa come gioco di stili, azzardo di generi, sfide negli accostamenti che, riflettono l'anima caleidoscopica di Manhattan, dando vita a nuove alchimie artistiche. 

     

    La realtà immortalata trapela dalle immagini di “Cities–Places Visionaires”. Ogni spettatore poi ne da una propria interpretazione. Quanto c'è di “visionaires” negli scatti?

    La città e le visioni che di esse hanno gli artisti si fondono. Non v'è distinzione tra gli scorci urbani e l'idea che ne ha il fotografo. In “Cities–Places Visionaires” gli spettatori, vedono grattacieli, strade, piazze, ma con lo sguardo dell'artista, attraverso il suo occhio.
     

    Eccoci ad osservare una realtà che spazia “nel limbo dell’immaginario”.

    In “UrbanEurope” di Zanta conosciamo i motivi del viaggio in Europa del fotografo, ma ci sfugge la scelta di alcune città piuttosto che altre, di alcuni spaccati urbani che di altri. Nell'istallazione “Berlino” di Basilico si vedono palazzi ma cosa ispira il fotografo nell'immortalarne uno invece che un altro? In Wolf capiamo la sua filosofia del ritrarre grattacieli, ma perchè abbia una prospettiva invece di un'altra...è tutto dentro il suo immaginario. Pensieri, sensazioni, stati d'animo, emozioni brulicano nella mente di questi maestri della fotografia. Noi non possimo entrarvi. La fotografia è un'arte tout court. Ovvia da intuire, difficile capire davvero.

  • Letterature 2009. VIII Festival Internazionale di Roma. Grisham e la "sua" luna, Mare delle Tranquillità

    In una calda serata di metà Giugno, con alle spalle la teatralità del Colosseo e dinnanzi la maestosità dei Fori Imperiali, tanti gli spettatori per "Letterature2009. Festival Internazionale di Roma". Ci mescoliamo tra la folla di romani e turisti che prende posto nella magica cornice della Basilica di Massenzio per ascoltare un ospite d'eccezione: il giallista americano John Grisham.

    L'ottava edizione del "Letterature2009. Festival Internazionale di Roma", in corso dal 26 maggio al 26 giugno, s'intitola "Terra Luna. Una infinita risonanza" ed è dedicato allo storica passeggiata di Armstrong nel Luglio del '69. Il Festival celebra la Luna attraverso la letteratura invitando gli scrittori a presentare propri brani inediti, composti, ispirandosi al legame invisibile ma intenso che unisce il nostro Pianeta al Satellite Lunare.

    Ogni serata è plasmata da "punti di vista" letterari diversi in cui protagonista è la

    luna: i generi vanno dal classico allo scientifico, dal giallo al noir. Sullo sfondo della magnifica Basilica a cielo aperto si sono esibiti Margaret Mazzantini, Andrew Greer, il cantautore Vinicio Capossela, la giovane autrice fantasy Licia Troisi, lo “Stephen King svedese” Lindqvist, il grande scrittore andaluso Muñoz Molina e l’italiano Cavazzoni.

    John Grisham, in Italia per promuovere il suo ultimo best-seller "Il ricatto", partecipa alla settima serata della rassegna letteraria con un inedito intitolato "Tranquillità". L'ingresso dello scrittore sul palco è accompagnato da applausi del pubblico che Grisham contracambia salutando e sfoderando una perfetta pronuncia italiana. Lo scrittore esordisce dicendo che lui e sua moglie sono "spesso in Italia per la grande cultura che il Bel Paese offre" e ringrazia Roma per averlo invitato "ad un appuntamento tanto importante come il Festival Internazionale delle Letterature che quest'anno celebra l'arrivo dell'uomo sulla luna".
    Luci affievolite, silenzio ispirato tra le rovine romane...l'inedito del giallista americano può cominciare.

    Grisham racconta dell'ultima notte di Joey, innocente, condannato a morte per un omicidio mai commesso. Il giovane, chiede all'agente carcerario di poter vedere la luna per l'ultima volta. Ammirandola, Joey vede una macchia scura. E' il punto dove, secondo lui, ha camminato il primo uomo che l'ha raggiunta: il "Mare delle Tranquillità". E' quello il luogo in cui anche il ragazzo finalmente può perdersi dopo anni di sofferenze. L'ultimo pensiero di pace raggiunta da un uomo condannato ingiustamente. Alla fine della lettura Grisham afferma che la luna gli ha "ispirato" questo racconto: guardare l'astro gli consente sempre di "riflettere su temi difficili come la pena di morte".

    Molti i commenti entusiastici tra il pubblico. Ci siamo imbattuti in un gruppo di turisti americani che ha partecipato alla serata. Per Arvind di Washington "Grisham è sempre grande e non finisce mai di stupirmi. Poi lo sfondo delle rovine romane ha fatto il resto".
    Secondo Alexandra di Philadelphia "Grisham non è solo uno scrittore di triller. Stasera ha intrecciato poesia e impegno civile. Emozionante l'accostamento tra la luna e il senso di libertà trovato da un innocente nei suoi ultimi momenti di vita".

    E' proprio questa la sensazione che proviamo a fine serata: gli scrittori, grazie alla magica arte della loro penna, prendono spunto dai temi offerti, proponendone altri che arricchiscono i loro scritti. Rendendoli piccoli capolavori.

    Per soddisfare qualche curiosità sulla manifestazione abbiamo raggiunto via mail Maria Ida Garta, Direttore Artistico del Festival.

    "Letterature2009" è ormai giunto alla sua ottava edizione, divenendo un vero "cult" dell'estate romana per gli appassionati di letteratura, musica e scienza. Commentiamo il successo del Festival...
    La carta vincente del nostro Festival? Non è solo un evento "letterario". Riesce a fondere varie sfere di interesse del pubblico, chiamando in causa altre passioni oltre a quella letteraria. A Letterature quest'anno abbiamo invitato non solo scrittori, ma anche musicisti, come Vinicio Capossela e scienziati come Carlo Rovelli e Mario Tozzi. La letteratura non è "un'isola": mantenendo in primo piano gli scritti è interessante l'integrazione con altri capisaldi della nostra cultura come musica e scienza.

    Ci sono delle novità specifiche nell'edizione di quest'anno?
    E' un Festival all'insegna della tecnologia, si è in pratica trasferito sul web: lo si può infatti seguire attraverso gruppi e profili aggiornati in tempo reale su Facebook, Myspace e Twitter. Ancora la letteratura si apre a nuovi orizzonti...grazie ad Internet.

    L'integrazione della letteratura ad altre "passioni culturali" e l'utilizzo di Facebook e affini permette di raggiungere un'audience vasta. Qual'è la risposta di pubblico?
    Il Festival sta riscuotendo molto successo sia tra i romani che tra i turisti che affollano la Capitale. Basti pensare che per ogni appuntamento si registra il "sold out" dei 2000 posti disponibili a sedere. La manifestazione è ad ingresso gratuito, una vera punta di diamante dell'offerta estiva romana.

    Tanto coinvolgimento di pubblico sarà dovuto anche al tema particolarmente interessante di quest'anno "Terra Luna. Un'infinita risonanza".
    Certo, i quarant'anni dall'allunaggio sono un evento così rilevante che ci è parso doveroso dedicargli il Festival Internazionale delle Letterature. In fondo la luna ha ispirato in passato, e continua tuttora ad affascinare moltissimi autori. Non solo. Strega anche noi, che, pur non essendo scrittori, poeti e drammaturghi condividiamo le emozioni che ci trasmette. Dal senso di spaesamento per universi lontani e mondi inesplorati...alla romanticità di una passeggiata fatta appunto al chiar di luna.

    Come nasce l'idea di invitare John Grisham?
    Grisham è uno degli scrittori più importanti nel panorama internazionale. Quando abbiamo saputo che veniva a Roma per presentare il suo ultimo romanzo, "Il riscatto", lo abbiamo subito contattato ed invitato al Festival. Lui ne è stato onorato, ha accettato subito assicurando la sua presenza e la lettura di uno scritto originale. Il risultato è stata una serata davvero speciale. Non solo un omaggio alla luna, ma anche una riflessione importante su un tema delicato quale quello della pena di morte che Grisham ha condiviso col pubblico.