I poveri in Italia in dieci anni sono triplicati: lo dice l'ultimo Rapporto Caritas. Dal 2007 sono aumentati del 182 per cento, uno su due è giovane o minorenne. In crescita anche i senza dimora. Forse per troppo tempo non abbiamo compreso appieno quanto un'economia basata sulla costante violazione del rispetto tra gli uomini possa condurre a pericolosi cataclismi sociali. Mai avremmo potuto immaginare di doverci trovare di nuovo a ribadire quanto, all'indomani del Concilio Vaticano II, affermava Paolo VI, finalmente santo: " Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale".
Credevamo che la globalizzazione dei mercati portasse ulteriore benessere, ricchezza per tutti, e invece abbiamo globalizzato la povertà. Come sempre nelle grandi trasformazioni epocali della società sono gli ultimi, quanti dentro la storia ne restano ai margini, a pagare il prezzo del progresso, del benessere di chi decide per tutti il destino della storia. D'altronde, non servono statistiche per comprendere quanto sia drammatica oggi la situazione: chi fa fatica ad arrivare a fine mese è sempre più schiacciato da un'economia senza controllo che rispetta le regole del mercato, ma non rispetta l'uomo.
I poveri ci sono sempre stati, è vero, ma un tempo in tante città, come a Napoli, anche chi aveva poco poteva vivere grazie a quella economia del vicolo che permetteva anche alle famiglie numerose di far quadrare il pranzo con la cena. Esistevano mercati a misura d'uomo che consentivano a tutti, a ognuno secondo le sue possibilità, di soddisfare le proprie attese. E tutto questo porterebbe a considerare che forse il reddito di cittadinanza voluto dal governo gialloverde andrebbe nella direzione di alleggerire il dramma descritto dalla Caritas. Ma lo stesso Don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana, commenta: " La povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensionale a un problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione che rischia di vanificare ogni impegno finanziario".
Ho conosciuto Muhammad Yunus, oggi Premio Nobel per la pace, che ha fondato la Grameen Bank, un istituto indipendente che pratica il microcredito senza garanzia, anzi, è molto di più. Ha come scopo lo sradicamento della povertà in un paese come il Bangladesh che è per antonomasia il paese della povertà senza speranza, tanto è vero che i 30 miliardi di dollari affluenti in Bangladesh nel quadro degli aiuti internazionali non sono riusciti a smuovere una situazione ormai radicata, come non riusciranno a smuoverla in Italia i dieci miliardi destinati al reddito di cittadinanza. " Tutti", scrive Yunus, "sono concordi nel pensare che non vi sia miglior rimedio alla povertà della creazione di posti di lavoro.
Gli economisti, tuttavia, riconoscono soltanto una forma di lavoro: il lavoro salariato (...). Quando i nostri antenati sono apparsi su questo pianeta, non hanno cercato qualcuno che li facesse lavorare. Se così avessero fatto, la razza umana sarebbe estinta da tempo. Essi hanno preso in mano il proprio destino e si sono inventati le proprie attività: la raccolta e la caccia, in seguito l'agricoltura. Sono stati da sempre lavoratori indipendenti. I manuali di economia ignorano il termine lavoro indipendente; e siccome gli economisti lo hanno cancellato dai propri libri, i politici lo hanno cancellato dalle proprie menti. Offrire sbocchi al lavoro indipendente mediante la creazione di istituzioni e di politiche appropriate è la migliore strategia per eliminare la disoccupazione e la povertà".
Già. Senza fare assistenzialismo, Yunus è riuscito, attraverso il microcredito, a far riemergere la creatività e l'ingegnosità dell'essere umano, riportando l'economia dalla sua degenerazione in scienza degli affari alla sua originale vocazione di scienza sociale, di ritorno all'economia del vicolo direi. Di fatto, la Grameen Bank, pur essendo a tutti gli effetti una banca, non si limita al prestito, ma incide sulla ristrutturazione del tessuto sociale in una realtà che sembrava chiusa in schemi rigidi, fissi, inamovibili.
Se il sistema del microcredito funziona nei villaggi più poveri del mondo, può e deve poter funzionare in tutti i paesi in cui la crisi economica e lo spettro della disoccupazione stanno spazzando via l'illusione del benessere a ogni costo. Non voglio aprire un'ulteriore polemica con il governo, vorrei che il loro sforzo di " abolire la povertà" davvero potesse inseguire visioni di liberazione piuttosto che tentazioni di propaganda.
Il microcredito è un'esperienza già consolidata di restituzione di dignità, l'assistenzialismo non lo è. Perché non rifletterci?
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