ESSERE a New York per raccontare Napoli è un' impresa non semplice, ma esaltante. Due città a confronto, due pianeti distanti, modi di essere che nella loro particolare consistenza, unica e inimitabile, superano il confine delle loro mura e avanzano con diverso passo nell' immaginario oltre: la Grande Mela speditamente orgogliosa del suo presente, Partenope lentamente nostalgica, fissa al passato remoto.
I contatti tra le due città sono evidenti e tante sono le abissali distanze. Per chi ha il delicato compito di raccontare Napoli fuori le sue mura, senza cedere alla consumata oleografia, senza spingere troppo il dito nelle piaghe delle sue ferite, non è cosa facile. Invitato da Davide Azzolini, ideatore di "41esimo Parallelo", la vetrina del Napoli film Festival, e da Stefano Albertini della New York University, venerdì sera ho incontrato, nella Casa Italiana Zerilli Marinò, tanta gente appassionata della nostra cultura, curiosa del nostro presente, perfino più di noi.
Gente affascinata dalla nostra vita, dalla nostra storia, sorpresa da quanto è in nostro possesso e da quanto siamo stati capaci di produrre e dilapidare. Orgoglio e disagio di appartenenza, parlare di Napoli è fare i conti con la tua nascita, con la storia che ti porti addosso. Nascere è origine collocata e se nasci a Napoli, lo è di più, dove, a differenza di altri posti, la città s' intromette con prepotenza nel dna di chi, per caso, per sciagura o per volere di Dio, viene alla luce nelle sue mura.
La sua prepotenza, la sua invadenza nell' io è così arrogante che si allarga a dismisura benché ci si sforzi di contenerla, perché è proprio di questa terra occupare spazi abusivamente. Si è così legati alle origini, alle radici, che la napoletanità ti si attacca addosso dalla culla alla tomba, e di sicuro perfino all' altro mondo. Nel bene e nel maleè la tua terrae devi conviverci, anche a New York, e così a quella gente che ha avuto la pazienza di ascoltarmi ho tentato di passare l' amore per la mia terra, città esagerata, nel bello come nel brutto, nel bene come nel male. Tutto ciò che tocca perde misura e trasborda finendo per inebriare o uccidere. I cinque sensi si esaltano nel gareggiare per meglio descrivere questo mondo che si poggia su una piccola porzione di terra, ma che la supera e finisce per diventare senza confini, capace di ritrovarsi come boa galleggiante là dove gli uomini tentano di non perdere i loro sogni. La filosofia dell' antica Grecia si respira per Spacca Napoli e ancora ti pare di ascoltare i vecchi sofisti riproporrei loro argomenti nei vicoli e nei bassi.
I Romani hanno creato la pagina irrinunciabile della legge e qui hanno fallito mentre i principi del foro qui hanno trovato il giusto verbo. I mercati ancora riecheggiano di richiami saraceni, francesi e spagnoli hanno lasciato traccia in ogni palazzo, in ogni chiesa, in ogni via, ma come recita una vecchia canzone per chi è nato al Ponte di Nola, nel corpo di questa città, sa che essa è unica e irripetibile. Con quante canzoni ha fatto l' amore, ha pianto, ha protestato, ha sperato e disperato. Con quanti versi ha saputo raccontare le incredibili avventure di un popolo nobile che dalla storia era stato scelto per essere primo attoree che è finito per diventare semplice comparsa. Ma di canzoni non si vive e neppure di sola poesia.
Mentre il verso risuonava ammaliante per convertire amanti del passato, a Napoli probabilmente si era scesi dal treno del futuro e così venivano sacrificate sull' altare dell' apparenza le parole che avrebbero potuto consentirle di aprire il cuore alla speranza: lavoro, giustizia, legalità, appartenenza, rispetto del bene comune. Le parole, non tutte ma tante nel frattempo, sono diventate volgari, suoni striduli che sembrano maciullare la memoria con lo stesso ritmo con cui vengono storpiate le frasi.
Ma c' è speranza per Napoli, se ancora, benché il lutto delle parole assassinate, nel mondo come a New York resta ancora città che interessa, nel bene e nel male, unica nel suo essere. C' è speranza se si riuscirà a parlare di nuovo di Napoli proprio qui a Napoli con lo stesso amore con cui ne parlano coloro che la amano a debita distanza.
* Gennaro Matino è docente di Teologia pastorale. Insegna Storia del cristianesimo. Editorialista di Avvenire e Il Mattino. Parroco della SS Trinità. Il suo più recene libro: “Economia della crisi. Il bene dell'uomo contro la dittatura dello spread”
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