In una città senza madri i figli sono alla sbando

Gennaro Matino (January 29, 2018)
Ma a Napoli accanto agli scugnizzi c’erano le madri, c’erano loro dove la legge latitava, dove lo Stato non riusciva a organizzare convivenza civile, dove la chiesa, la scuola non riusciva a passare una parola di senso: mamma a Napoli era dire casa. E le madri di Napoli quelle del popolo o della nobiltà erano carnali, violente, feroci nel loro essere possessive e protettrici dei loro figli: cambiavano i Signori che comandavano questa città, ma chi davvero regnava erano le madri. Anche quando avevi avuto la disgrazia di perderla la madre, di non averla mai conosciuta, questa città non ti lasciava senza un’immagine indispensabile per sopravvivere. Non ti chiamavano trovatello né orfano, ma figlio della Madonna. La guerra, gli americani, le nuove dinamiche di famiglia e di cultura che polverizzeranno il ruolo della donna madre, piano piano, qui più che altrove, trasformeranno la città in terra di nessuno

Baby gang, branco, violenza giovanile, soprusi, ovunque aggressioni, in pieno giorno senza pudore, senza vergogna. Capita dappertutto, ogni grande metropoli del mondo ha problemi di criminalità, ma a Napoli è un’altra cosa. Non c’è posto, non c’è spazio che non sia occupato dalla violenza. Un poeta ha scritto che quando Dio creò Napoli rideva e il suo sorriso è rimasto intatto, stampato nella luce che disegna ogni giorno il fascino di questa terra che ha il sapore salmastro del mare e la forza vitale del sole.

Dire che è bella è riduttivo. Esagerata è l’aggettivo che le sta bene addosso; esagerata nel bello come nel brutto, nel bene come nel male. Tutto ciò che tocca perde misura e trasborda fino ad inebriare o uccidere. Quando leggevamo dai giornali che in altre parti del mondo, come in Brasile, i ninos de rua si accoltellavano, ci sembrava una cosa assurda, lontana, impossibile. Ora sta succedendo anche da noi. ‘E criature song ‘e Dio, sono sacre e quando è un ragazzino a rischiare la morte, la sua o di un suo coetaneo, tutti dovremmo chiederci che fine stiamo facendo.

I ragazzi di strada ci sono sempre stati a Napoli e hanno fatto storia a tal punto che dire scugnizzi è dire parola nata qui, in questa terra dolce e amara, parola ormai capace di descrivere tutti i ragazzi scombinati della terra. Ed è anche vero che ieri forse facevano più paura di oggi, erano certamente più selvaggi: nudi, scalzi, i piedi coperti di piaghe, servi di uomini senza scrupoli che li usavano per ogni nefandezza. Conoscevano ogni vizio anche quelli innominabili. Hugo quando ha scritto “I Miserabili” forse non aveva conosciuto il rione Carità, i Quartieri Spagnoli o il Pallonetto di Santa Lucia. Tuttavia lo scugnizzo napoletano anche se aveva nel sangue la malattia della miseria, questa era accompagnata da un anelito di libertà: i Masaniello di sempre, laceri, mendicanti, lazzari li troveremo come piccoli eroi nella storia di questa città sulle barricate a battersi e morire per tutti quanti noi contro ogni tirannia.

Gli scugnizzi non sapevano scrivere, non sapevano leggere, avevano imparato presto l’arte di arrangiarsi per sbarcare il lunario e certo da sempre sono stati l’espressione più eloquente dei grandi problemi in cui si è dibattuta la nostra terra: ma a differenza di quello che sta avvenendo oggi avevano la loro cultura, fatta di terra e di sole. Per qualcuno poteva essere sbagliata, infetta, come i cenci che portavano addosso, ma era cultura di libertà. Protestavano nel loro disordine, nella loro anarchia per un popolo nato per essere libero, per godersi il bello che la natura gli aveva concesso.

Ma a Napoli accanto agli scugnizzi c’erano le madri, c’erano loro dove la legge latitava, dove lo Stato non riusciva a organizzare convivenza civile, dove la chiesa, la scuola non riusciva a passare una parola di senso: mamma a Napoli era dire casa. E le madri di Napoli quelle del popolo o della nobiltà erano carnali, violente, feroci nel loro essere possessive e protettrici dei loro figli: cambiavano i Signori che comandavano questa città, ma chi davvero regnava erano le madri. Anche quando avevi avuto la disgrazia di perderla la madre, di non averla mai conosciuta, questa città non ti lasciava senza un’immagine indispensabile per sopravvivere. Non ti chiamavano trovatello né orfano, ma figlio della Madonna. La guerra, gli americani, le nuove dinamiche di famiglia e di cultura che polverizzeranno il ruolo della donna madre, piano piano, qui più che altrove, trasformeranno la città in terra di nessuno.

Le madri sono state l’arma segreta di questa città. Come chiocce hanno protetto con tutto quello che avevano, fino al dono di sé, la libertà e la dignità delle loro famiglie. Alla mancanza di uno Stato forte sopperiva il calore della famiglia e delle sue regole. Tutta Napoli era una grande tribù che si muoveva come corpo composito formato da miriadi di cellule in sé perfettamente organizzate con le proprie leggi, le proprie tradizioni e le proprie usanze. Intorno alla madre un’infinita varietà di personaggi più o meno importanti roteavano e offrivano gerarchie di ruoli e valori. Dai nonni agli zii, dai cugini carnali a quelli lontani, dalle comare ai compari. Più di una generazione aveva la possibilità di tramandarsi la storia con il pianto per le sconfitte e l’esaltazione per le vittorie. Oggi Napoli è a rischio di maternità, non c’è chi la governa, chi l’ami veramente e i figli sono alla sbando. Nessuna legge potrà ricondurre la città all’ordine senza la madre, nessuna regola o repressione, nessun figlio ritornerà a casa se non c’è nessuno che l’aspetti, se non c’è nessuno che pianga per lui.

*Gennaro Matino, teologo, scrittore, docente di teologia pastorale e parroco a Napoli

 
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