Ziggy Stardust alla Festa del Cinema di Roma

Monica Straniero (October 19, 2020)
Stardust di Gabriel Range offre uno sguardo intimo sui momenti che hanno ispirato la creazione del primo e più memorabile alter ego di Bowie.

Illuminato da due performance stellari, quelle di Johnny Flynn (Emma, Lovesick) e Marc Maron (Glow), STARDUST offre uno sguardo intimo sui momenti che hanno ispirato la creazione del primo e più memorabile alter ego di Bowie.

La leggenda di Bowie vorrebbe farci credere che Ziggy Stardust sia un alieno pansessuale dai vestiti sgargianti, il cui make up è ispirato al teatro Kabuki Lo sceneggiatore e regista Gabriel Range ci riporta alla realtà per raccontarci che il mito di David Bowie ha origini  molto più terrene.

Johnny Flynn – cantante e star emergente del piccolo schermo con Emma , Les Miserables e Lovesick–  interpreta un Bowie del ’71 smarrito, impacciato (straziante quando Flynn si aggiusta il cappello e spera che nessuno se ne accorga) e abbattuto, convinto di essere una promessa mancata. Arrivato in America, la patria del rock n ‘roll e della libertà di espressione che sicuramente riconosceranno il suo marchio di produrre magia, si mette in contatto con l’unico fan di ‘The Man Who Sold To The World’ presso la sua etichetta discografica, il pubblicista Ron Oberman (Marc Maron), e si imbarca in un vorticoso coast-to -coast tour di concerti. Ovviamente si trova nel peggior paese possibile per discutere della sua arte e della sua filosofia, per non parlare di DJ radiofonici bacchettoni e un trio di giornalisti rock arroganti che non sembrano impressionati dalle musiche di Bowie. 

L’elefante nella sala di proiezione è la mancanza di canzoni reali di Bowie. Il figlio di Bowie, Duncan Jones, ha precisato che la famiglia non ha approvato il film e non sono stati autorizzati  diritti del catalogo musicale dell’era Ziggy. Fatta eccezione per alcune cover di canzoni di Bowie che Flynn ha magistralmente interpetato. The Yardbirds “I Wish You Will” e “My Death” del cantautore belga Jacques Brel – rivelano che il brillante talento di Bowie è stato criminalmente ignorato. Successi che la maggior parte del mondo della musica aveva liquidato come un disco di novità.

Il film funziona molto meglio, quindi, come un viaggio rivelatore che David Bowie potrebbe aver intrapreso per
diventare quell’artista. La sceneggiatura di Grange e Bell prende tempo per indagare il motivo per cui  Bowie sembra così reticente a spargere la sua polvere di magia. Flynn offre un Bowie incredibilmente turbato, afflitto da flashback sul suo schizofrenico fratello Terry e in preda alla paura che possa anche lui soccombere al codice genetico della malattia mentale. 

Un racconto che si tiene a distanza dal biopic celebrativo e dove la scintilla di ispirazione per la nascita del suo iconico, celestiale alter ego Ziggy Stardust non viene mai del tutto individuata. Eppure c’è un momento che risveglia il sospetto che Bowie sia in effetti una divinità aliena camaleontica. Dopo aver trascorso una serata ad  adorare il nuovo cantante dei Velvet Underground con la convinzione che fosse Lou Reed, in realtà è Doug YuleBowie,  rivolgendosi ad Oberman, esclama: “è una rock star o qualcuno che si spaccia per una rock star, ma qual è la differenza?” Da quel momento in poi, è  Ziggy a suonare la chitarra, il culmine della lotta di David per vivere la follia in modo sicuro.

 

 

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